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    Santa Cruz manifesta per il diritto alla normalità: ma cosa vuol dire normalità a Tenerife?

    AP Photo/Miguel Velasco Almendral

    Il magnifico Jaques Prevert nella prima metà del secolo scorso scriveva: voi disboscate imbecilli, voi restate là, a cantare e a fare la parata.

    Si riferiva alla guerra-guerra ma noi prendiamo in prestito il verso perché esistono molti modelli trasversali di guerra.
    Secondo i residenti di Tenerife, le politiche del turismo funzionano come una guerra alla popolazione o, meglio, al suo stile di vita.
    In bilico fra torti e ragioni è improcrastinabile la scelta fra implosione e marcia indietro.
    L’ovvietà non richiede grandi sforzi di comprensione: se un’isola grande come un tappo di sughero ha ospedali, strade, parcheggi, discariche e stabilimenti per riciclare la spazzatura, dosati per un milione di persone, non può, lo capisce un bimbo, servirne 7 milioni.
    Nemmeno un cantone svizzero potrebbe, senza offesa, figuriamoci se il laissez faire dei canari può fare il miracolo.
    Non cado, intendiamoci, in una facile generalizzazione al ribasso, indegna di una riflessione seria, piuttosto prendo atto di due elementi che sono le colonne portanti del DNA tinerfeño.
    La prima è che il padronato canario è esplicitamente feudale e l’avvento dello stato non ne ha spettinato un solo pelo, pertanto, non ha alcun senso pensare a soluzioni basate sulla legge uguale per tutti e le utopie che ne conseguono.
    La seconda, più percettibile a Tenerife che nelle altre isole, è che il solo modello di sviluppo mai messo in essere è l’ibridazione della classe dirigente con categorie di imprenditori la cui miope voracità è diventata l’imprinting di un contesto molto difficile da redimere.
    Non a caso ho scritto redimere.
    Gli americani hanno riversato qui fiumi di dollari frutto di evasioni fiscali eccellenti.
    Dagli inglesi sono arrivati i soldi della rapina al treno di John Palmer che lascia eredi attivissimi e bene integrati.
    Gli italiani hanno i loro feudi alla luce del sole e nonostante qualche incidente di percorso, godono di ottima salute e prosperano in tutti i rami trasversali del business per addetti ai lavori.
    I tedeschi di rientro dal Sudamerica nel tardo dopoguerra, hanno lavato lingotti rossi di bruttissime storie nel mare di Tenerife senza che nessuno storcesse il naso.
    La Tenerife pace amore cammelli e miseria ha cementificato anche il terrazzo della nonna senza pensarci due volte, non è cresciuta culturalmente al passo con il boom del denaro svelto e facile e ora versa lacrime di coccodrillo sparando al nemico sbagliato.
    I turisti usano il loro modello di sviluppo ma non lo hanno creato.
    La classe politica che esprime nient’altro che la vorace miopia dei suoi elettori, invece sì.
    Ora, se dovessimo pensare che tutta la classe dirigente al gran completo inizia a drogarsi e in preda a un’amnesia collettiva decide di governare adeguatamente, cosa dovrebbe davvero fare?
    Sicuramente non prendere tutti per i fondelli facendo pagare il biglietto per vedere il vulcano e i parchi, come pare che intenda fare ma piuttosto servirebbe: ridurre ai minimi termini l’all-inclusive per deviare il flusso di denaro diretto alle Cayman senza passare dal via, almeno in parte, verso l’economia capillare interna.
    In secondo piano andrebbe bloccato il megagalattico piano di sviluppo che si prepara a coprire letteralmente di cacca e cemento l’ultimo avamposto di vita normale del sud, Alcalá.
    In terzo piano proteggere i proprietari di seconde case da okupas e inquilini insolventi, calmierare il prezzo degli affitti e ridurre le possibilità di affitto turistico.
    Infine, doveroso calmierare i prezzi della produzione agroalimentare a Km zero favorendo la vendita su larga scala dei prodotti locali e pestando i piedi al Signor Mercadona e ai suoi fratelli.
    E’ superfluo chiedersi se tutto questo è plausibile.
    E la risposta è no.
    E’ un astratto concetto di bene comune che non è mai stato il nord dell’agire isolano e va contro ogni possibile tipo di interesse consolidato di una classe dirigente composta fin dall’origine da:
    -Feudatari che lasciano andare a male tutto ciò che non trasformano in ricchezza immediata senza alzare un dito.
    -Avventurieri che portano colline di soldi laddove sanno che saranno ben accolti e non dovranno rispondere a troppe domande.
    -Nativi che finché questo modello di sviluppo spremeva i guiri e lasciava cadere le briciole per gli indigeni orgogliosi di chiamare piramide quella cosa di Guimar, tutto sommato della Caretta caretta e del basso livello dei servizi pubblici se ne infischiavano.
    Pertanto, con il massimo rispetto per chi scende in strada e crede ancora in un linguaggio democratico che non ha più un interlocutore nel mondo moderno e con sincero amore per questa isola – presa tutta intera con i suoi limiti e la sua schizofrenia – sono propensa a credere che, giunti al punto di rottura, si creeranno nuovi equilibri spontanei che cambieranno una volta ancora la fisionomia del residente tipo di Tenerife.
    L’ipotesi divertente ma improbabile che la classe dirigente inizi a drogarsi tutta insieme e decida di tenere in conto il bene comune e il raggiunto limite di tolleranza di un territorio esausto in ogni possibile senso, la vedo giusto come una boutade, buona per reggere un discorso astratto che tale è destinato a restare.
    Claudia Maria Sini

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