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    La potenza dello story telling: Assange assolve l’America mentre l’America condanna Assange

    La dinamica della liberazione di Julian Assange è talmente utile per capire l’indole del tempo in cui viviamo che non si può proprio lasciar passare l’occasione di offrire un piccolo spunto di riflessione sull’argomento.

    L’arresto e la liberazione lasciano il tempo che trovano rispetto alla dimostrazione di come ormai lo story telling (il modo in cui il racconto stravolge gli eventi) abbia sostituito a pieno titolo il volto della realtà.

    Cosa ha fatto Julian Assange per finire in prigione?

    Ha ricevuto da una fonte interna all’esercito americano documenti di pubblico interesse con i quali ha informato il popolo americano, prima ancora che il resto del mondo, di infrazioni gravi del diritto internazionale e delle leggi americane.

    MAI nella storia dei paesi democratici un giornalista si è dovuto preoccupare di rendere conto di come le sue fonti si sono procurate le informazioni. 

    L’unica preoccupazione per il giornalista è sempre stata verificare che le informazioni fossero vere e nessuno ha mai messo in dubbio che le informazioni diffuse lo fossero, nemmeno la CIA.

    In questo caso il gioco degli specchi arriva al suo massimo livello. 

    A novembre Biden e Trump  si contenderanno il timone del paese nel momento più critico della sua e della nostra storia.


    Chi vorrebbe mai andare a elezioni con il marchio della violazione della libertà di stampa? 

    Meglio sedersi su un nido di vespe.

    Allora il colpo di genio. 

    Ribaltare la frittata  e ottenere che Assange assolva  l’America.

    Il patteggiamento è la figura giuridica più consueta negli Stati Uniti, basta vedere una serie di NETFLIX per sapere che finisce sempre così.

    Ad Assange viene offerto l’unica e ultima possibilità di non finire nel braccio della morte o morire in un carcere inglese e l’offerta è così generosa che è quasi una preghiera a non dire di no.

    I 18 capi d’accusa per 175 anni di carcere o pena di morte diventano UN capo d’accusa e 5 anni di carcere. Nemmeno Babbo Natale.

    Fra tutti i capi d’accusa però dovendone tenere uno solo, non viene scelto uno qualsiasi perché alla fine quello che conta è che passi il messaggio.

    “Concorso in azione di spionaggio” significa: da adesso in poi giornalisti state molto attenti perché si è creato un precedente giuridico che ha sbriciolato la barriera fra la giustizia e la libera informazione.

    D’ora in poi per quanto possiate pubblicare notizie autentiche e di pubblico interesse, per quanto la vostra fonte possa essere attendibile o magari anche irrintracciabile, veniamo a prendere voi e sono dolori grossi.

    Pertanto, non facciamoci distrarre dal fatto che Biden abbia preso la palla al balzo per cavalcare il fatto che all’atto dell’arresto di Assange il Presidente in carica fosse l’avversario elettorale del galantuomo che invece lo ha liberato.

    Per nauseabonda che sia, la notizia non è questa.

    La notizia è che è stata processata e condannata a morte la libertà di stampa senza nemmeno prendersi la briga di abrogare le leggi che la difendono.

    La notizia è che una volta ancora le leggi a difesa delle libertà fondamentali dell’individuo si sono dimostrate lettera morta, che le colonne della democrazia cadono una dietro l’altra, che nessun paese ha dedicato due righe in prima pagina alla gravità di quanto è accaduto e che se un domani dovessero fare uso di una sentenza per far valere un precedente giuridico, e arrestare un bravo giornalista che ha fatto correttamente il suo mestiere, con un humor nero che personalmente trovo raggelante, si appellerebbero alla “sentenza Assange”. 

    Claudia Maria Sini

     

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