Squali enormi, i più grandi in assoluto, la cui dimensione raggiungeva i 20 metri di lunghezza e il peso le 100 tonnellate, per intenderci un autobus urbano articolato ma 3 volte più pesante, infestavano le acque dell’arcipelago canario quasi 4,8 milioni di anni fa.
Si parla del Megalodon, un predatore con denti della dimensione di una mano, che si nutriva di un cibo che abbondava nelle acque calde canarie, la balena.
L’Instituto Español de Oceanografía (IEO) rese noto che nei fondali del Banco de La Concepción, una montagna sottomarina situata a nord dell’isola di Lanzarote, vennero ritrovati 15 denti fossili del più grande predatore degli oceani mai esistito, il Megalodon.
La sua presenza durante il periodo del Pliocene era già stata documentata dal Museo Canario che espone nella sua collezione un terrificante dente appartenuto al grande squalo ma con gli studi dell’IEO si è giunti alla conoscenza di dati molto importanti relativi all’ecosistema in cui esso viveva e soprattutto alle motivazioni per cui il Megalodon aveva scelto le acque dell’arcipelago come habitat preferito.
I grandi squali avevano esigenze metaboliche enormi che i pesci normalmente presente nei mari non potevano soddisfare a pieno ma soprattutto prediligevano, come sottolinea il paleontologo Juna Francisco Betancor, i mammiferi marini, le balene, che a loro volta pullulavano le acque dell’arcipelago canario.
I ricercatori hanno così esaminato tre dei grandi depositi di reperti appartenuti al Pliocene che esistono tra Gran Canaria e Fuerteventura, ovvero il Barranco Seco, Tamaraceite e Aiuy, cercando di portare alla luce gli ecosistemi marini del periodo storico.
I ritrovamenti non si sono limitati a quelli dei denti del Megalodon, ma hanno evidenziato la presenza di ulteriori 7 squali delle dimensioni dell’attuale squalo bianco: Parotodus benedeni, Cosmopolitodus hastalis, Isurus oxyrinchus, Carcharias cf. acutissima, Carcharhinus cf. leucas, Carcharhinus cf. priscus y Galeocerdo cf. aduncus.
Questo testimonia come nel periodo del Pliocene il clima fosse molto più caldo e piovoso, del tutto simile all’attuale clima dei Caraibi o del Golfo della Guinea, rendendo l’arcipelago uno dei punti caldi della biodiversità marina con una trentina di cetacei diversi.
La chiusura dell’istmo di Panama, considerando che fino a quel momento non esisteva alcuna barriera di separazione don il Pacifico Atlantico, trasformò significativamente le dinamiche oceaniche, generando la gran corrente del golfo che oggi riscalda l’Europa e raffredda i Poli.
Le acque dell’arcipelago divennero quindi meno ricche di cibo per i grandi squali che non resistettero alle temperature modificate, estinguendoli o facendoli migrare dove incontrarono altri grandi predatori come capodogli, orche, delfini e le balene dentate.
(di Ilaria Vitali)