Tenerife è sconcertante nel suo misto di stranezza, ruvidità, anarchia periferica e grande grande bellezza.
Molti di quelli che ci vivono scrivono e spesso pubblicano impressioni, racconti, pensieri, memorie.
Mette la voglia di raccontarla.
Non so cosa sceglierei se dovessi farlo.
Forse il guizzo rarissimo del colibrì blu scuro, con il petto dorato, piccolo come una noce dal canto piccolino, come la voce di un bimbo che canta.
E’ difficilissimo vederlo, e, vederlo non è molto più che restare fregati da un guizzo che trema via in un istante, concedendo solo l’emozione di essere stati lì lì per vedere una creatura bellissima.
L’ho visto con calma da vicino solo il giorno in cui ne ho trovato uno decapitato da un gatto ma ancora molto molto bello. Gli mancava giusto il sorriso e uno sguardo da incrociare.
Era un uccellino di seta, lucidissimo e morbido, un uccellino di lusso che a raccontarlo non renderebbe bene come i diesis del pianoforte o le ombre sui colori di un Renoir, però se togliessimo i tasti neri dal pianoforte o le ombre da un Renoir… succederebbe quello che succede quando ci illudiamo che il percettibile abbia un senso senza l’impercettibile che gli conferisce personalità, significato, sapore.
Quindi, la cosa migliore è lasciare la penna all’esercito di imbecilli che parlano di un luogo di vacanza a basso costo dove evasori fiscali e avventurieri possono scontrarsi a schema libero per il controllo di un mare pericoloso e senza spiagge, offeso dal cemento e dagli ubriachi di Las Veronicas.
Le magie rivelate, scompaiono, e nella misura in cui non verrà compresa, la magia di un’isola che ha criptato la sua bellezza per occhi che la sanno vedere, continuerà ad incantarci con i suoi colibrì rarissimi, i suoi diesis di merlo al mattino, e le sue ombre di Renoir fra un petalo e l’altro dei Flamboyant.
di Claudia Maria Sini