Internet per anziani in Italia ha fatto flop. Se ne è accorta finalmente La Stampa in un recente articolo dello scorso 17 giugno dal titolo “L’Italia non è un Paese di cittadini digitali” a firma di Linda Laura Sabbadini. L’articolo è stato segnalato nella Newsletter del giornalista Franco Abruzzo, studioso e storico del giornalismo e dei media. Peraltro, cambiando approccio e argomento e restando in tema di verità si sarebbe potuto anche dire “L’Italia non è un Paese per cittadini digitali”.
E pensare che sin dagli inizi degli Anni 2000 e fino a pochi anni fa il vecchietto digitale stava quasi diventando un modello realizzato da imitare, eroe e pioniere insieme del web. La stessa Stampa nel 2014, appena tre anni or sono, titolava trionfalmente sull’argomento: “La terza età è sempre più digitale”. Un po’ tutti i media d’altronde erano sintonizzati su questo elogio indiscriminato delle vecchiette del world wide web. I titoli buonisti e fantasiosi impazzavano, sembravano titoli di quei cinepanettoni concepiti un po’ alla buona, alla carlona, per raccontare quello che ci rassicura e ci piace ascoltare e vedere nella finzione della realtà ovvero nella finta realtà che molte fiction rappresentano senza remore di leggerezza, bugie, paradossi ed anche con alte dosi di irresponsabilità considerate le fitte nebbie con le quali certe operazioni culturali o d’intrattenimento accerchiano le verità, per nasconderle, in vari campi, situazioni, relazioni, contesti.
L’articolo della Sabbadini si sofferma sulle differenze culturali tra i nostri anziani e quelli statunitensi. I nostri, manco a dirlo, hanno una scolarità più bassa, in prevalenza e “se va bene” la licenza elementare. E allora è chiaro che più che un’opportunità di crescita personale e sociale internet italicum costituisce un ulteriore elemento di esclusione da tutti i vantaggi che il web può offrire per gli acquisti on line, per le relazioni sociali, per la crescita personale come individui e come cittadini.
Hai voglia ad appellarti all’art.27 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani che recita: «Ogni individuo ha diritto di prendere parte liberamente alla vita culturale della comunità, di godere delle arti e di partecipare al progresso scientifico ed ai suoi benefici». Parafrasando un noto slogan pubblicitario e volendo sdrammatizzare si potrebbe ragionevolmente pensare: “Ma dove vai se internet non lo sai?”
Scrive ancora la giornalista de “La Stampa”: “Non basta l’alfabetizzazione autodidatta, soprattutto per le persone di età più avanzata. In Italia si usa troppo poco internet e con scarse competenze. Manca una strategia complessiva di inclusione.”
E’ lecito domandarsi cosa faccia in tal senso la RAI, l’Ente preposto al servizio pubblico che con la trasmissione “Non è mai troppo tardi” rese negli Anni Sessanta del secolo scorso davvero unica da Nord a Sud la lingua degli italiani. La risposta è chiare: fa poco. Magari “manifesta intenzioni”: buone, come si suppone facciano pure i politici con le varie agende digitali, le digitalizzazioni vere o presunte sbandierate quando conviene e tornate lettera morta nel dimenticatoio quasi sempre. In effetti la lentezza e l’arretratezza che stanno strozzando l’Italia rientrano a pieno titolo nelle responsabilità della politica che si è fatta casta e affarismo. Sul fronte dello scarso utilizzo di internet da parte degli anziani e dell’occupazione dei giovani sarebbe sufficiente impiegare ovunque dei giovani informatici per alfabetizzare gli anziani sulle nuove tecnologie. Un’iniziativa da niente, solo per fare vedere che si lavora con attenzione, con amore del proprio Paese e dei cittadini. Ma da che mondo è mondo la Casta è Casta e pensa solo a se stessa. E i risultati, anche sul fronte degli anziani che in realtà sono una vera risorsa, si vedono bene. Internet e terza età risultano quasi estranei ed incompatibili. Ed anche questo è un danno enorme, un’esclusione dal progresso che rende chiara una situazione negativa di arretratezza operativa e culturale difficilmente recuperabili.
di PAOLO GATTO