Attualmente i social network, se ben utilizzati, rappresentano indubbiamente un progresso per le comunicazioni tra le persone e un modo per conoscerne più velocemente di nuove.
Ma, come in ogni cosa, vi sono lati negativi come il fatto che esistono alcuni soggetti con intenzioni malevole che usano i social network per diffondere voci non vere su altri utenti.
Se prima si ricorreva al passaparola per distruggere la reputazione di chiunque, oggi con i social network è molto più facile ed immediato diffamare qualcuno, esponendo su gruppi come quelli che si formano su WhatsApp, fatti assolutamente falsi; i motivi per cui azioni di questo tipo siano così diffuse è sconosciuto ma talvolta sono da mettere in relazione con desideri di notorietà di coloro che si adoperano per inventare menzogne, credendo che ciò che viene detto nei social network sia privo di conseguenze.
Ovviamente non è così e sono sempre più numerose le condanne in ambito penale come diretta conseguenza di pettegolezzi sui social network, come la Audiencia Provincial de Pontevedra, del 22 novembre del 2017, che ha confermato la Sentencia de Instancia della Corte di Vigo, nella quale è stata condannata una madre in quanto rea di avere calunniato, riferendo falsità, la professoressa del figlio; la donna avrebbe infatti diffuso comportamenti scorretti da parte dell’insegnante nei confronti di suo figlio, ovviamente falsi, quali mobbing, sottrazione della merenda e prese in giro.
E questo è quanto accade su social network come Facebook, dove le persone esprimono commenti sprezzanti su altri utenti, non solo ignorando il danno che questo comportamento può generare, ma non considerando affatto il reato di diffamazione di cui si rendono responsabili.
Frequenti sono le condanne penali, ad esempio per i sempre più abituali commenti offensivi tra ex su Facebook, considerando che non solo il diritto all’onore in Spagna protegge la buona reputazione di una persona contro espressioni o messaggi che ne sminuiscano le qualità o che ne denigrino la condotta, ma che la libertà di espressione ed informazione non consente necessariamente di potersi permettere di dire tutto.
Sulla stessa tendenza è ormai anche Twitter, dove sempre più comunemente gli utenti danno libero sfogo ai propri istinti peggiori, insultando altri utenti, siano essi persone fisiche o imprese, e addirittura rallegrandosi per la morte di una persona.
Anche questi comportamenti non sarebbero propriamente privi di effetti penali e ogni giorno la polizia porta in Tribunale quegli utenti che, utilizzando l’anonimato tipico di questo social network, si dedicano ad insultare più persone o addirittura a minacciarne altre con la convinzione di non poter essere individuati, quando in realtà la polizia ha tutti i mezzi necessari per risalire all’autore di qualsiasi tweet.
Analoghi episodi accadono anche su altri social network, come ad esempio Instagram, dove gli utenti, evitando i filtri stabiliti per evitare gli insulti in rete, molestano altri utenti nascondendosi dietro falsi profili, celando quindi oltre all’identità, molte frustrazioni e poca auto stima, ma soprattutto ignorando che questo comportamento presenta delle conseguenze.
Insultare attraverso i social network può essere infatti molto costoso.
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