Il declino di Puerto de la Cruz iniziò negli ultimi trent’anni del XVII secolo, principalmente a causa della perdita dei mercati coloniali del Portogallo e dell’Inghilterra e della concorrenza dei vini italiani e dello sherry spagnolo, ma Puerto aveva già più di 2.800 abitanti, fatto dovuto in parte ad un significativo flusso d’immigrazione dalla penisola e dall’Europa, oltre che da altre località della regione.
La perdita in esportazioni vinicole si protrasse anche nel XVIII secolo, con l’ingresso sul mercato di produttori molto competitivi a dispetto di vini di bassa qualità e con l’attuazione di un trattato, quello di Methuen nel 1703, nel quale si convenne che i vini portoghesi avrebbero goduto di trattamenti preferenziali all’interno del mercato britannico.
Ma a dispetto di questa momentanea benché protratta recessione, il porto di Puerto continuò a essere uno dei centri più dinamici dell’Arcipelago insieme a quello di Santa Cruz de Tenerife, oltre al più importante di tutta l’isola.
A partire dal 1723, sotto la centralizzazione commerciale e portuale imposta dalla Corona, si trasferì la Comandancia General a Santa Cruz, dove quindi si concentrò tutto il traffico marittimo delle isole, bloccando qualsiasi iniziativa commerciale di tutti gli altri porti.
Questo evento procurò conseguenze molto gravi e si accompagnò ad una peculiare politica strutturale perdurata fino ai giorni nostri; in termini demografici ed in coincidenza con la dinamica economica, si arrivò ad una situazione di recessione e stagnazione per tutti i primi 70 anni del secolo, caratterizzato da una leggera ripresa solo nell’ultimo quarto.
Alla fine del XVIII secolo Puerto contava già 3.800 abitanti ed a livello politico nel 1722 è da rilevare la prima elezione di una corporazione municipale su voto cittadino.
Il passaggio da enclave marittima e commerciale a nucleo agricolo e turistico, avvenne nel XIX secolo, nella prima metà del quale Puerto subì una graduale ritirata di tutte le attività portuali con conseguente profonda crisi economica e sociale che durò fino agli anni ’50 del secolo.
Altri significativi avvenimenti contraddistinsero questo secolo, come una terribile epidemia di febbre gialla nel 1811 che falciò il 20% della popolazione, circa 700 abitanti, e l’alluvione del 1826, che distrusse vigneti, cantine e molti altri edifici.
Nel giro di circa 60 anni quindi Puerto passò dall’essere il punto di riferimento commerciale dell’isola a nucleo prevalentemente dedito all’agricoltura, per la quale, paradossalmente, la cittadina non possedeva sufficienti terreni a causa della sua ridotta giurisdizione; nel 1847 i confini vennero ampliati fino agli attuali.
A partire dall’inizio della seconda metà del secolo, si cominciarono a osservare timidi segnali di ripresa, grazie all’introduzione tra le coltivazioni della banana e della cocciniglia, quest’ultima destinata ad avere un grande successo fino al 1872, anno in cui apparvero sul mercato i primi coloranti sintetici.
E sarà quindi la banana, a partire dal 1880, a diventare determinante per l’economia di Puerto e rimanendo tale fino ai giorni nostri, benché nello stesso anno si cominciò a parlare anche di turismo.
Il turismo a Puerto inizia con la costruzione e l’inaugurazione negli ultimi anni del 1800, del Gran Hotel Taoro, vero e proprio fiore all’occhiello della città e apripista dell’economia legata al flusso dei visitatori.
Seguirono infatti altri alberghi, per lo più derivati da ristrutturazione di antiche case famigliari, come la Marquesa, il Monopol, il Tremearne e il Turnbull.
Fu in quegli anni che alla ripresa economica seguì quella demografica, con 5.000 abitanti registrati a fine secolo.
di Ilaria Vitali
Si ringrazia:ARCHIVO DE FOTOGRAFIA HISTÓRICA DE CANARIASwww.fotosantiguascanarias.org