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    Diario di bordo di un dottore

    La medicina ci mette in contatto con un sistema unico anima-corpo-mente.

    Non si può curare nessun male se non si capisce la connessione fra la voglia di essere malati, la convinzione di essere malati e, se davvero c’è, la malattia.

    Qualche volta l’organismo con cui ci confrontiamo è una famiglia intera, od un ambiente di lavoro. 

    A Milano, una decina di anni fa, mi sottopongono una ragazza per via degli effetti collaterali degli psicofarmaci.

    Le prime due visite non mi forniscono grandi spunti se non la conferma che la farmacologia da sola, non cura l’anima.

    Finalmente prendo confidenza con il padre, che mi racconta che, come da tradizione del suo paese d’origine, la figliola era stata spedita come un pacco a sposare un uomo mai visto, non una, due volte, e che, per due volte, era stata rimandata al mittente.

    Cresciuta lontano da casa, non era stata in grado di calarsi nella parte.


    La diagnosi del padre era che soffrisse per l’umiliazione inflitta alla sua famiglia. 

    La diagnosi di un dottore occidentale sarebbe che forse era innamorata del vicino di casa e voleva sposare lui.

    La sola cura possibile in quel caso era stravolgere il rapporto padre figlia vecchio di millenni, nel quale avevo il desiderio ma non il diritto di intervenire.

    Ho ridotto i farmaci e spinto la ragazza verso lo sport, verso interessi che le accendessero l’interesse per la vita, consapevole di non poter/dover sradicare l’origine della sua sofferenza. 

    Non ho più avuto sue notizie, vorrei fosse felice, ma non credo lo sia.

    A volte, semplicemente, a malincuore,  dobbiamo arrenderci.

    Alessandro Longobardi

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