L’autunno è tempo di vendemmia e il vino di Tenerife potrà piacere o meno, ma Tenerife è terra di vino.
Da sempre.
O meglio, da quando i primi coloni europei, alla fine del XV secolo, piantarono le prime viti sull’isola.
E tale fu il successo economico di questa coltura che per un secolo e mezzo (cioè fino alla metà del ‘600) i vini di Tenerife furono esportati in grandi quantità in ogni angolo d’Europa.
Soprattutto dal versante nord dell’isola.
La dicitura “Villa y Puerto de Garachico” potrebbe lasciare interdetto il visitatore che non vede istallazioni portuarie in questa cittadina sulla costa nord dell’isola, ma il nome storico è perfettamente giustificato dal fatto che è da lì che partivano le navi cariche di vino verso l’Europa.
I tempi cambiano e così l’economia, e la produzione di vino come monocultura col passar dei secoli fu sostituita dalla cocciniglia, dalle banane e dai pomodori.
Ma quell’epoca d’oro ha lasciato in eredità una “cultura popolare” del vino che anche chi vive o visita le zone più turistiche dell’isola può toccare con mano appena vi si allontana.
A parte i vini imbottigliati prodotti professionalmente, Tenerife è uno dei posti d’Europa dove, in percentuale, più vino si vende nei bar.
“Vino del país” cioè vino non imbottigliato prodotto da qualche viticultore locale, non necessariamente un viticultore professionale.
Tenerife è infatti un’isola “di terra” molto più che “di mare”.
Fuori dalla zona metropolitana il mondo contadino è sopravvissuto fino a pochi decenni fa ed è sorprendentemente alto il numero di persone che, pur non essendo più contadini, continuano a produrre vino nella vigna di famiglia, sia per uso familiare che per venderlo ai bar e ai ristorantini locali.
E la vendemmia è sicuramente il momento sociale per eccellenza in cui si riuniscono famiglie ed amici.
Una delle cose che hanno segnato positivamente la storia vitivinicola di Tenerife e delle Canarie fu il fatto che la filossera non arrivò mai nelle isole.
Infatti questo ragnetto divoratore delle radici della vite portò alla quasi completa distruzione dei vigneti europei nella seconda metà dell’800 e quindi alla perdita di un gran patrimonio di varietà viticole.
Il problema fu risolto innestando le varietà di vitigni europei sopravvissuti su radici di vite americana, così che oggi oltre il 90% delle vigne europee hanno un “piede americano” come si dice in gergo.
Nelle Canarie invece questa piaga della vite non arrivò mai e quindi i vigneti canari sono a “piede franco”, cioè con le radici originarie, conservandosi così tutta la gran varietà botanica portata sulle isole tra la fine del ‘500 e l’inizio del ‘600 dai coloni e commercianti spagnoli, portoghesi, italiani, francesi, fiamminghi ecc.
In Italia si coltivano vigne a “piede franco” solo sulle alte pendici dell’Etna, in alcune alte valli valdostane e nel Sulcis sardo.
Le varietà principali di vitigni coltivati a Tenerife sono una ventina ma, tralasciando la produzione professionale, nei vigneti a gestione familiare dominano le differenti varietà bianche e rosse di “listán” e “negramoll”.
E anche se una mini-globalizzazione ha ormai in parte uniformato le varie aree dell’isola, storicamente la produzione di vino rosso è tipica del versante nord dell’isola mentre quella di vini bianchi e rosati è tipica del versante sud.
Qui però siamo ad appena 28° di latitudine e quindi il clima caldo obbliga, sopratutto nel versante sud dell’isola, ad iniziare a vendemmiare già ad agosto.
Uno degli oggetti associati alla vendemmia tradizionale a Tenerife sono le ceste di castano intrecciato che venivano usate per trasportare l’uva destinata alla spremitura.
Nel mondo contadino locale avevano nomi e misure standard: la “canasta” aveva una capienza intorno ai 17-18 kg d’uva, il “cesto” il triplo.
La forma leggermente curva verso l’interno con l’apertura allargata era finalizzata al carico su cavalli e muli che potevano essere usati per il trasporto.
Però indubbiamente l’immagine storicamente più associata al mondo del vino a Tenerife e nelle altre isole è quella del torchio tradizionale canario, il “lagar”, un torchio a leva orizzontale anche se oggi è stato in parte sostituito dai più pratici e moderni torchi senza leva.
Il “lagar canario” funziona facendo girare un’enorme vite imperniata sulla leva in modo da abbassarla schiacciando l’uva che vi si trova sotto.
Originariamente erano costruiti in legno di pino e quando non si trovavano in cantina ma all’aperto erano protetti da un vero e proprio tetto a spiovente.
Un buon esempio può essere visto da tutti nei giardini del “Parque de la Puerta de Tierra” nel centro di Garachico, la cittadina dal cui vecchio porto partivano per l’Europa le navi cariche di vino di Tenerife.
E proprio a questa cultura popolare dell’uva e del vino appartiene il mondo dei “guachinches”, una espressione ormai esageratamente inflazionata non solo tra gli stranieri presenti sull’isola ma anche tra molti canari “di città” che ormai la usano come semplice sinonimo di trattoria di cucina canaria buona ed economica.
Un guachinche invece è fondamentalmente una mescita di vino, dove si prova e si compra il vino sfuso del posto, non in un locale commerciale ma praticamente nella casa di chi lo vende.
Ed insieme al vino si mangia qualcosa.
A me, quando torno in paese dopo essere stato in qualche guachinche, di quelli veri, la gente non chiede com’era il cibo ma com’era il vino.
D’altronde sulla copertina dello storico libro “La ruta de los guachinches” edito dal Centro de la Cultura Popular Canaria, non c’è la foto di una tavola imbandita ma quella di un vecchio contadino che beve un bicchiere di vino.
Tenerife terra di viti e di vino quindi, che a qualcuno potrà non piacere, ma terra di vino.
Gianni Mainella
DIDASCALIA DELLA FOTO 1
Il “lagar”, il torchio tradizionale canario
DIDASCALIA DELLA FOTO 2
Uva “negramoll”
DIDASCALIA DELLA FOTO 3
Ceste intrecciate di castagno che venivano usate tradizionalmente per il trasporto dell’uva vendemmiata