Cari amici, nella rubrica economica di questo mese parleremo di investimenti.
Tranquilli, non ho niente da consigliarvi, né se l’avessi potrei farlo in questa sede, perché investire dipende da una quantità di fattori strettamente personali che non conosco: propensione al rischio, capacità o meno di perdere denaro senza vedere compromessa la propria esistenza, spese indispensabili che si prevede di dover sostenere entro un periodo di tempo “X”, oppure possibilità di lasciare investite delle somme di denaro per periodi relativamente lunghi, persone a carico al cui futuro dobbiamo pensare… insomma circostanze diversissime e personali che rendono impossibile dare dei consigli, un po’ come a quelli che, senza spiegare nulla di sé e delle proprie circostanze esistenziali, chiedono candidamente nei blog, senza rendersi conto dell’irragionevolezza della domanda: “Mi consigliate un luogo per trasferirmi nelle Canarie…?”.
Ma non divaghiamo.
Dunque mi limiterò qui ad illustrare brevemente le caratteristiche dei principali strumenti finanziari disponibili nel mercato, che in ogni caso è sempre bene conoscere perché oggi le banche hanno perso la buona abitudine che avevano anni fa di remunerare i depositi dei clienti, quindi il nostro sudato denaro se ne sta lì nei conti bancari mogio mogio senza rendere un bel nulla, mentre l’inflazione anche se bassa continua a fargli perdere potere d’acquisto (degli effetti deleteri dell’inflazione ho scritto diffusamente a pag. 16 del numero di luglio, quindi se volete chiarirvi le idee leggete quell’articolo).
Cominciamo da una breve illustrazione degli investimenti più classici: azioni e obbligazioni, che sono diverse non solo tecnicamente ma anche per le conseguenze giuridiche che possono avere.
Le azioni sono quote del capitale di un’azienda, caratteristica che ha due conseguenze principali: la prima è che quando si acquista un’azione si diventa soci di un’azienda, per cui se l’azienda fallisse, essendo l’azionista uno dei suoi proprietari, saremmo coinvolti nel fallimento e perderemmo tutta la quota di capitale investito per acquistare le azioni; la seconda è che, essendo soci, se l’azienda va bene e guadagna parteciperemo ai suoi utili incassando dei “dividendi”, che appunto sono le distribuzioni degli utili (di importo variabile di anno in anno, proprio perché legate ai maggiori o minori guadagni conseguiti in un determinato anno finanziario o “esercizio”).
Se invece l’azienda va male e non guadagna, o addirittura perde, non solo non incasseremo nessun dividendo periodico, ma potremmo anche essere chiamati a partecipare ad “aumenti di capitale” per ripristinare il capitale sociale intaccato dalle perdite.
Invece le obbligazioni non sono un investimento permanente nel capitale di un’azienda, ma solo un prestito fatto dall’investitore all’impresa, con due caratteristiche: la prima è che alla scadenza del prestito il creditore recupererà (o meglio: dovrebbe recuperare, come vedremo tra poco) il capitale prestato, e la seconda è che, come in tutti i prestiti, il debitore pagherà al creditore un interesse per l’uso temporaneo del denaro.
Quest’interesse dipenderà dal tasso d’interesse prevalente in quel paese in quel periodo; la periodicità dei pagamenti (le “cedole”) è concordata tra le parti, ma generalmente è semestrale o annuale.
Dicevo prima che alla scadenza del prestito il creditore recupererà il capitale prestato, o meglio dovrebbe recuperarlo, nel senso che se l’azienda fallisse, il creditore potrà partecipare alla sua liquidazione e alla vendita dei beni aziendali, con la speranza (col tempo e con tutte le complicazioni legali del caso…) di recuperare almeno una parte dell’investimento.
Come dissi tempo fa in altro articolo, anche gli Stati emettono obbligazioni a breve, media, lunga e lunghissima scadenza, cioè chiedono denaro in prestito per finanziare la loro spesa pubblica (sembra che i soldi non gli bastino mai…!).
In Italia questi titoli di Stato hanno varie caratteristiche e nomi diversi: Buoni Ordinari del Tesoro (BOT), Certificati di Credito del Tesoro (CCT), Buoni del Tesoro Poliennali (BTP)… in Spagna si chiamano Letras del Tesoro, Bonos del Estado, Obligaciones del Estado… spiegarne qui dettagliatamente le caratteristiche richiederebbe uno spazio che non posso monopolizzare, del resto sicuramente in internet si troveranno spiegazioni esaurienti di queste diverse tipologie.
Questi sono i siti web del Tesoro spagnolo e italiano dove si possono trovare spiegazioni ed eventualmente sottoscrivere le loro emissioni: http://elijo.tesoro.es/productos / e http://www.dt.tesoro.it/it/debito_pubblico/titoli_di_stato/
Anche in questo caso il tasso d’interesse, pagato dallo Stato ai propri cittadini ed a quelli esteri che gli prestano i soldi per finanziare il suo debito pubblico, varia a seconda di vari fattori, tra cui il famigerato spread di cui tanto si sente parlare.
Di questo spread ho scritto diffusamente a pagina 33 del numero di giugno, per cui invito chi volesse approfondire l’argomento (quanto mai necessario di questi tempi!) a leggere quell’articolo.
Tuttavia per acquistare con cognizione di causa obbligazioni e soprattutto azioni occorre una conoscenza profonda, abbastanza difficile e lunga da ottenere, della borsa, del suo funzionamento e dei meccanismi e fattori complessi che la regolano.
Per noi comuni mortali, per evitare di prendere cantonate è più opportuno rivolgersi ai fondi comuni d’investimento, ossia ad organismi gestiti da professionisti che raccolgono e aggregano i capitali degli investitori e li manovrano nel mercato acquistando e vendendo titoli.
Quali sono questi fondi d’investimento?
Ce n’è un’infinità dei tipi più svariati: solo azionari, solo obbligazionari, misti, speculativi, prudenti, bilanciati, a seconda delle proprie caratteristiche e circostanze personali, come dicevo all’inizio…
Per farsi un’idea basterà meglio cercare in internet “fondi d’investimento” (in Italia) o “fondos de inversión” (in Spagna), comprese le virgolette che ho scritto io… e leggere i prospetti informativi badando a capire bene anche le commissioni che si fanno pagare per il servizio.
Oppure, sicuramente anche la vostra banca saprà dirvi qualcosa in merito, ma è sempre bene non fidarsi ciecamente di quello che vi dicono…
Supponiamo però che per qualche motivo non vogliate rischiare assolutamente nulla, o non vogliate prolungare l’indisponibilità dei vostri risparmi per più di qualche mese… in questo caso molte banche, sia in Italia che in Spagna, hanno creato i cosiddetti “depositi vincolati” o “depósitos a plazos” (per trovarli basta cercarli in internet), con cui il risparmiatore si impegna a lasciare depositato in banca il suo denaro per un certo numero di mesi (generalmente 3, 6 o 12, a volte 24 o perfino 60) in cambio di un interesse, modesto ma comunque sempre meglio di niente per recuperare almeno il potere d’acquisto eroso dall’inflazione.
Per qualche motivo (forse la minore necessità di capitali per iniziative commerciali) i depósitos a plazos spagnoli offrono interessi un po’ più bassi dei depositi vincolati italiani, ma vi preciso che non si può investire a proprio piacimento in entrambi i paesi, perché sia in Spagna che in Italia le banche chiedono una prova della residenza.
Questo sarebbe un problema anche per investire in altri paesi europei dove evidentemente gli operatori hanno più bisogno di capitali per le loro iniziative e in cui quindi le banche offrono interessi leggermente maggiori, ma per aggirare l’ostacolo sia in Spagna che in Italia opera un portale bancario tedesco (tranquilli, parlano la vostra lingua!) che propone una serie di depositi vincolati in banche di vari paesi europei (ad esempio Polonia, Norvegia, Bulgaria, Repubblica Ceca…) a interessi un po’ più alti di quelli offerti in Italia e in Spagna.
Non posso farne il nome perché gli farei pubblicità e non sarebbe corretto, ma cercando in internet i depositi vincolati o i depósitos a plazos sicuramente lo troverete perché non ce ne sono altri con queste caratteristiche.
Il nome è composto da sei lettere…
Bene cari amici, mi auguro di esservi stato almeno un po’ utile per trovare al vostro sudato denaro qualche impiego più remunerativo della semplice giacenza infruttifera in un conto bancario.
Al prossimo appuntamento con la rubrica economica e… in bocca al lupo per i vostri investimenti!
Francesco D’Alessandro