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    Cosa ci attende in economia e politica nel 2019

    Cari amici, a un mese esatto dall’inizio del 2019 è tempo di una breve panoramica degli appuntamenti geopolitici – come si usa dire oggi – più importanti dell’anno in corso… almeno di quelli noti, perché in un mondo in rapidissima evoluzione e contrastato come quello odierno, i prossimi 11 mesi sicuramente ci riserveranno qualche sorpresa.

    Ma per guardare al futuro nella giusta prospettiva, prima di proseguire è opportuna una rapida sintesi degli eventi del 2018, di cui quelli del 2019 saranno le conseguenze.

    In Europa i due fatti salienti del 2018 sono stati i preparativi per il distacco del Regno Unito dall’Unione europea (comunemente noto come Brexit) e le elezioni in Italia, con il contorno del ribaltone tra PP e PSOE al governo in Spagna.

    In Italia il finale del 2018 ha visto lo scontro inizialmente incandescente tra il nuovo governo italiano e la Commissione europea sul deficit di bilancio, deciso dalla coalizione gialloverde al 2,40% per finanziare le rispettive promesse elettorali, e poi ridotto d’accordo con l’UE al 2,04% in attesa delle elezioni europee di fine maggio, dopo le quali potrebbero riaccendersi i contrasti.

    Nel Regno Unito, negli ultimi mesi dell’anno Theresa May ha faticosamente tentato un’ardua sintesi tra le divergenze fra i partiti di governo (e tra le fazioni interne del suo stesso partito conservatore) che dovrebbero approvare il travagliato accordo raggiunto con l’UE.

    Infine a dicembre la Banca centrale europea (BCE) ha interrotto definitivamente il sostegno prestato per anni all’economia dell’eurozona con il meccanismo dell’allentamento quantitativo (per chi non ricordi cos’è, ne ho parlato diffusamente nell’articolo a pagina 16 del numero di dicembre).

    Nel mondo molti eventi hanno coinvolto gli Stati Uniti, tuttora la prima potenza mondiale in attesa di essere spodestati dalla Cina entro la fine del secolo (e secondo me probabilmente anche prima).


    A ottobre il presidente Trump ha disdetto l’accordo con la Russia sugli armamenti nucleari, a novembre ha ripristinato le sanzioni contro l’Iran e poco dopo ha superato relativamente indenne lo scoglio delle elezioni parlamentari di metà mandato presidenziale, perdendo però il controllo della Camera dei Rappresentanti, passata ai Democratici che ora gli stanno creando non pochi ostacoli per uno dei suoi progetti-simbolo: la costruzione del muro confinario col Messico.

    Il 2018 è stato anche l’anno della fortissima accelerazione dell’economia statunitense e dei conseguenti ripetuti aumenti del tasso d’interesse decisi dalla Federal Reserve (l’equivalente della BCE negli USA) per evitarne il surriscaldamento (anche di questo ho parlato nel numero di dicembre).

    Infine l’anno scorso Trump ha aperto le ostilità commerciali con la Cina imponendo sulle importazioni dal colosso asiatico una serie di pesanti dazi.

    Come vedremo tra poco, questi dazi apparentemente solo anticinesi hanno innescato una reazione a catena che non risparmia nessun Paese del mondo, Italia compresa.

    Fortunatamente nell’incontro durante il vertice del G20, svoltosi a Buenos Aires tra la fine di novembre e l’inizio di dicembre, Trump e il presidente cinese Xi Jinping hanno concordato una tregua di 90 giorni per proseguire il negoziato, ma per un trattato di pace, o almeno di non belligeranza, c’è ancora molto da lavorare.

    A proposito, se qualcuno si chiedesse cos’è il G20: è il vertice dei ministri delle finanze e dei governatori delle banche centrali del Gruppo dei 20 Paesi più industrializzati, che si riuniscono periodicamente per consultarsi sull’andamento dell’economia mondiale.

    Fatto questo rapido riepilogo degli eventi del 2018, passiamo agli eventi del 2019.

    Il 15 gennaio l’attesissimo voto del parlamento britannico ha sonoramente bocciato l’accordo stipulato tra la prima ministra Theresa May e la Commissione europea sull’attuazione della Brexit: 432 no e 202 sì.

    A questa sconfessione però il giorno dopo bizzarramente è seguita una nuova fiducia accordata dal parlamento a May e il 29 gennaio si terrà una votazione bis sul cosiddetto “piano B”, anche se l’UE ha ripetuto più volte che il primo accordo già stipulato non è rinegoziabile.

    Intanto il 29 marzo, cioè il fatidico Brexit Day in cui il Regno Unito abbandonerà l’UE, si avvicina inesorabilmente, e se avvenisse la temuta Hard Brexit, ossia il distacco senza negoziato, si aprirebbero scenari finora da fantapolitica, ma che potrebbero diventare drammatica realtà.

    Ne cito solo uno: un nuovo referendum per l’indipendenza della Scozia, che nella consultazione sulla Brexit votò maggioritariamente per rimanere nell’UE.

    La prima ministra scozzese, Nicola Sturgeon, vi ha alluso più volte e ora potrebbe approfittare della debolezza e confusione dell’Inghilterra dopo una Hard Brexit per riproporre la questione.

    • A marzo scadrà la tregua commerciale di 90 giorni concordata a novembre fra Trump e Xi Jinping, dopodiché in mancanza di accordi, o almeno di segnali incoraggianti per la trattativa, potrebbe ricominciare la guerra dei dazi. Le conseguenze però si fanno già sentire su scala mondiale in una micidiale reazione a catena: ad esempio, una parte notevole delle esportazioni tedesche è diretta in Cina, ma l’economia del colosso asiatico rallenta a causa dei dazi statunitensi, quindi diminuiscono anche le importazioni cinesi dalla Germania. A sua volta, l’Italia è il quinto esportatore verso la Germania (e il primo nel settore meccanico), quindi se l’economia tedesca rallenta anche le esportazioni italiane ne soffrono… e così via in una ramificazione di danni incrociati riguardanti tutti i Paesi. I dietrologi insinuano che così Trump prende due piccioni con una fava, anzi tre: colpendo la Cina danneggia anche la Germania e di conseguenza anche l’UE, che comprensibilmente è avversata come contendente mondiale sia dagli USA che dalla Russia. Fantapolitica? Può darsi… o magari no.
    • L’8 aprile si terrà la riunione del cosiddetto OPEC+, il cartello dei produttori di petrolio. A dicembre l’OPEC aveva deciso di ridurre la produzione di 1,20 milioni di barili al giorno per tenere alto il prezzo del greggio e nella riunione di aprile il taglio dovrà essere aumentato, confermato o revocato… inutile sottolinearne l’importanza per le nostre tasche.
    • Tra aprile e maggio si terranno le elezioni politiche in India (un colosso planetario che da solo vale il 20% della popolazione mondiale), in cui è ancora favorito il partito nazionalista dell’attuale primo ministro Narendra Modi.
    • Nell’ultima settimana di maggio si terranno le importantissime elezioni del parlamento europeo, da cui potrebbe emergere un panorama politico continentale completamente diverso da quello attuale. Lo ritengo un evento di portata mondiale, il cui esito avrà ripercussioni pesantissime che si protrarranno oltre i 5 anni di vita del nuovo parlamento.
    • Il 27 agosto a Biarritz, una località balneare francese sulla costa atlantica meridionale, si terrà il vertice dei ministri dell’economia del G7, il gruppo che riunisce i 7 Paesi più industrializzati e ricchi del mondo, di cui – riferisco senza commenti il fatto a chi ancora non lo conoscesse – fa parte anche l’Italia.
    • A ottobre un altro evento economico (e anche politico) mondiale importantissimo sarà la fine degli 8 anni di Mario Draghi al timone della Banca centrale europea. Verso la metà dell’anno il Consiglio europeo, che riunisce i capi di governo dei Paesi membri dell’UE, dovrà nominare il suo successore. Ci sono vari candidati, uno dei quali, il “falco” tedesco Jens Weidmann ora presidente della Bundesbank (la Banca centrale tedesca), ha criticato spesso le decisioni di Draghi, ritenute in Germania troppo “accomodanti”. Tuttavia Weidmann potrebbe essere sacrificato se la Germania, come si dice che farà, punterà direttamente alla presidenza della Commissione europea ora occupata dal lussemburghese Juncker, che ovviamente sarà interamente rinnovata dopo le elezioni di maggio; in questo caso sono pronti a scendere in lizza per la guida della BCE i francesi Coeuré, Lagarde e Villeroy, l’estone Hansson, l’olandese Knot, l’irlandese Lane e i finlandesi Liikanen e Rehn. Tutti comunque saranno meno comprensivi di Draghi verso i Paesi “discoli” dell’Europa meridionale.
    • Ma gli appuntamenti di ottobre non finiscono qui, perché andranno al voto il 6 il Portogallo, il 20 la Grecia (sarà confermato il primo ministro Alexis Tsipras, incendiario protagonista dello scontro con l’UE nel 2015 e poi diventato pompiere e ligio esecutore dell’austerità…?), il 21 il Canada e il 27 l’Argentina.
    • Il 5 novembre nuovo test politico per Trump, ormai già in campagna elettorale in attesa dell’elezione presidenziale dell’anno prossimo, con la nomina dei governatori di Kentucky, Louisiana e Mississippi.
    • IMPREVISTI – Gli imprevisti per definizione… non si possono prevedere! Ma ci sono alcune aree delicate, in cui si sa che “potrebbe” accadere qualcosa. In Francia, Italia e Spagna – 3 Paesi per motivi diversi instabili politicamente – non si possono escludere elezioni anticipate, anche a seconda dell’esito delle elezioni europee. Sono sempre da tenere d’occhio gli eventi nell’esplosivo Medio Oriente e i loro contraccolpi sul prezzo del petrolio. Eventi inattesi potrebbero verificarsi anche nel Regno Unito dopo la Brexit (hard o soft, cioè senza accordo o negoziata), se non ne sarà rinviata la data. Infine bisognerà vedere se l’attuale rallentamento economico mondiale si trasformerà in recessione e fino a che punto ciò influirà sull’economia italiana, che il nuovo governo ha previsto in notevole accelerazione ma che – complice anche la situazione europea e mondiale – potrebbe deludere le attese.

    Francesco D’Alessandro

     

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