Importante scoperta scientifica con significative implicazioni per la salute dell’uomo
Il grande squalo bianco (Carcharodon carcharias) o volgarmente pescecane, è una delle creature marine più famose al mondo e che ha generato grande interesse soprattutto negli scienziati.
Un team guidato da ricercatori del Centro di Indagine degli Squali appartenente alla fondazione Save Our Seas di Nova Southeastern University (NSU), dell’Istituto di Ricerca Guy Harvey (GHRI), del Collegio di Medicina Veterinaria dell’Università di Cornell e dell’acquario della Baia di Monterey (USA), ha finalmente completato il genoma dello squalo bianco, confrontandolo con quelli di una ampia varietà di vertebrati, tra cui lo squalo balena e l’essere umano.
I risultati dello studio, pubblicato sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences, evidenziano come la decodifica del genoma abbia rivelato non solo le sue straordinarie dimensioni (il genoma dello squalo bianco è una volta e mezzo quello dell’uomo), ma anche come una serie di mutazioni genetiche siano alla base del processo evolutivo di questa creatura così grande e così longeva.
Lo squalo bianco possiede caratteristiche notevoli, quali le dimensioni (6 metri di lunghezza per circa 4.000 kg di peso), e la capacità di immergersi fino a 1.200 metri di profondità.
I ricercatori hanno scoperto nel DNA dello squalo bianco specifiche che indicano l’adattamento molecolare (noto come selezione positiva) in numerosi geni dalla funzione fondamentale per il mantenimento della stabilità del genoma, per la difesa genetica e quindi per la conservazione della specie.
Questi cambiamenti sequenziali sono stati trovati in geni strettamente correlati alla riparazione del DNA e alla capacità di tollerare e rispondere in maniera efficace a un eventuale danno genetico, contrariamente a quanto avviene negli esseri umani che invece, caratterizzati da instabilità del genoma, sono soggetti a contrarre forme tumorali e patologie legate all’invecchiamento.
Mahmood Shivji, direttore del Centro NSU e dell’Istituto GHRI, coadiuvato dal supporto di Michael Stanhope della Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università di Cornell, ha rilevato un numero sorprendente di geni nel genoma di stabilità che contengono queste capacità adattative, oltre a livelli più elevati degli stessi come auto regolazione genetica in alcuni esemplari.
Altrettanto degno di nota è il fatto che il genoma dello squalo bianco contenga un numero elevato di geni di salto o trasposoni (elementi genetici in grado di spostarsi da una posizione all’altra del genoma), in particolare del tipo LINE, che ha una presenza del 30% superiore a quella finora riscontrata nei vertebrati.
Questi LINE causano instabilità genomica, creando rotture nel doppio filamento del DNA, ha affermato Stanhope, ed è plausibile che la prolificazione di tali geni rappresenti un forte agente selettivo per lo sviluppo di meccanismi atti a riparare il DNA, riflettendosi quindi nella selezione positiva e nell’arricchimento dei geni di stabilità.
Il team di scienziati, che comprendeva anche ricercatori della California, Portogallo e Russia, ha inoltre appurato che molti degli stessi geni di stabilità del genoma dello squalo bianco, sono presenti anche in quello dello squalo balena, scoperta significativa perché in teoria il rischio di sviluppare il cancro dovrebbe aumentare sia con il numero maggiore di cellule (corpi più grandi), sia con la vita utile di un organismo: esistono riferimenti statistici circa la relazione tra dimensioni fisiche e rischio di contrarre un cancro.
Curiosamente questo non avviene tra le specie diverse di squali e contrariamente alle aspettative, animali di grossa taglia non si ammalano di cancro con più frequenza degli esseri umani, lasciando supporre che hanno quindi sviluppato delle capacità superiori di protezione nei confronti dei tumori e delle degenerazioni cellulari.
Ecco pertanto che la decodifica del genoma dello squalo bianco fornisce alla scienza elementi utili a capire i grandi misteri relativi a questi predatori, come ad esempio il fatto che siano presenti sulla terra da oltre 500 milioni di anni e praticamente pressoché immutati, o il fatto che gli squali abbiano una capacità di guarigione delle ferite sorprendentemente rapida.
A quest’ultimo proposito il dottor Salvador Jorgensen, ricercatore presso l’acquario di Monterey, afferma che è stato scoperto un gene chiave legato alla coagulazione del sangue e che spiega la capacità di guarire in maniera efficiente anche da lesioni di grandi dimensioni.
Nonostante l’importanza di tutte queste scoperte, il team di ricercatori coinvolti ha affermato che quanto emerso non è che la punta di un enorme iceberg; il genoma dello squalo bianco è ancora per tanti aspetti un mistero ma il sapere che la natura abbia sviluppato strategie intelligenti per mantenere la stabilità dei genomi in creature così straordinarie come gli squali, rappresenta una speranza per il genere umano e per curare malattie come il cancro.
Infine il genetista Steven O’Brien, della NSU, precisa che la decodifica del genoma dello squalo bianco sarà utile anche alla sua conservazione, minacciata dall’aumento della pesca che sta provocando un preoccupante declino del numero degli esemplari viventi.
Franco Leonardi