I Pink Floyd sono la voce di un’era in cui “we don’t need no thought control” era il leit motiv di una generazione che, uno per volta, ha impiccato, destituito, fiaccato, i tiranni del primo novecento.
Il concerto in cui sparirono dietro un muro di mattoni costruito in scena mentre cantavano, dovrebbe stare sui libri di scuola insieme alla battaglia delle Termopili.
Non siamo più minacciati dai persiani a cavallo di elefanti dorati.
Le nuove galere hanno nomi rassicuranti come “patto di stabilità” o “protezione dei dati”… “consenso informato”.
Il linguaggio distorto di Orwell usa parole come patto, protezione e consenso per costruire attorno a noi il muro di un assedio progressivo delle libertà individuali, in un addestramento lento e inarrestabile all’ubbidienza inutile, alla disubbidienza pericolosa.
Ho scoperto, durante l’ultimo controllo sulla protezione dati, che quando prendo appuntamenti nello studio medico di mio marito, devo farlo senza dire nella stessa telefonata il nome e il tipo di cura… per rispetto alla legge europea sulla privacy.
L’impersonalità dell’autorità che si sveglia al mattino e rende illegale a capriccio un giorno starnutire e un giorno una marca di carta igienica, rende sconsigliabile una reazione di pancia, perché ti arriva una multa che ti mette in ginocchio e non sai nemmeno con chiarezza perché e da chi.
Siamo assediati fin dentro gli sgabuzzini di casa da minuscoli burocrati formati in corsi aziendali di sei mesi, dotati dell’immenso potere di decidere a quanti centimetri dalla porta può stare un cartello inutile, cosa possiamo dire al telefono, dove dobbiamo tenere un timbro o una rubrica…
Buttiamo via questa finta unione europea che ci ha consegnato come criceti alla ruota di una progressiva ubbidienza sempre più capillare, sempre più invasiva.
Ricreiamo nazioni libere di scegliersi un destino, abitate da uomini liberi di scegliere la guerra o la pace.
Educhiamo quegli uomini alla pace e lasciamo che possano provare e sbagliare, sperimentare e riflettere, immaginare e creare.
Solleviamo per la collottola i piccoli striscianti figuri che nelle epoche tristi, in cui langue la dignità della persona, si ubriacano d’emozione per il loro centimetro quadrato di potere… piantamogli un gran calcio nel culo… ributtiamoli in mare e, dopo aver scritto con lo spray tutto quello che ci garba sui muri e gli alberi e i pali delle nostre città, balliamo la rivoluzione, cantiamo la speranza, immaginiamo nuovi modi di essere persone, sblocchiamo il fermo immagine dentro il quale, piano piano, ci stanno imprigionando.
Claudia Maria Sini