Nel limbo in cui ci hanno relegato e galleggiamo stupiti e confusi, non c’è nessuno spazio per esprimere la nostra capacità di essere propositivi e responsabili
Dopo un mese e 5 giorni capiamo che il “dopo” non significherà ritornare al “prima”, avremo dei segni addosso e faremo i conti con consapevolezze nuove.
Cosa è cambiato durante questa esperienza inaspettata e surreale?
La nostra relazione con noi stessi, quella con gli altri, il ruolo degli organi di potere, quello delle forze di polizia, il rapporto con il tempo, il concetto di forza e fragilità, il concetto di obbedienza e responsabilità.
Un aspetto fra tutti a mio avviso merita di essere tirato fuori dalla confusione del momento e messo bene in luce, perché penso sia fondamentale.
Non c’è nessun progetto preventivo e nemmeno tardivo improntato a gestire un corpo sociale rispettandolo come entità collettiva che deve essere salvaguardata come tale.
Ci nutriamo di legami e interazioni, ci affermiamo arricchiamo e costruiamo attraverso la rete di relazioni sulla quale basiamo la nostra vita.
Per questo ora ci sembra di cadere al rallentatore, ci hanno incastrato molto al di là dell’invito alla moderazione e alla prudenza.
Ci hanno obbligati a un egoismo materiale, buoni e zitti immobili a ingrassare in attesa di istruzioni.
Presi in contropiede uno per uno, ipnotizzati dal miracolo di una democrazia allo sfascio ringalluzzita dal dono di un temporaneo potere da faraone.
Il libero arbitrio è un boomerang, esiste una relazione -seppure imperfetta- fra ciò che si semina e ciò che si raccoglie, la facoltà di scegliere è il lievito della relazionalità.
Ci hanno confiscato la bussola e in quel momento esatto due coppie di parole hanno cambiato significato.
La responsabilità ora è obbedienza. Passiva. Mite, arresa.
Tutti in un fermo immagine come se nessuno fosse capace di un comportamento responsabile.
Sfugge il particolare che l’unico motivo che giustifica l’esistenza dello stato, che ci porta ad accettare il fastidio e il pericolo di munirci di questa grande coscienza collettiva che dovrebbe essere lo stato, è la necessità di proteggere le persone coscienti dalle scelte di quelle incoscienti, di stimolare comportamenti virtuosi, scoraggiare comportamenti dannosi per il gruppo.
Invece ci gestiscono come una fila di piccoli numeri uno, uno, uno, stimolandoci a un senso del dovere perverso che condanna la reattività e la vitalità.
Stadi, scuole, parchi, spiagge, piazze, completamente deserti mentre famiglie di 5 persone in 90 metri quadri senza balcone, cercano di inventarsi qualcosa per non odiarsi a vicenda.
Il mantra del momento -“iorestoacasa”- non è un invito a fare scelte consapevoli, con tutte le nauseanti bandiere, i rigurgiti di patriottismo con cui viene condito, è il becco aperto con gli occhi chiusi degli uccellini nel nido. Pensiamo davvero di essere solo questo?
La fragilità è divenuta forza.
La fragilità insieme all’obbedienza è diventata un valore.
Trattenere il respiro, accettare qualsiasi prezzo per salvaguardare la sopravvivenza.
Ma la sopravvivenza non è la vita, è l’ambizione dei vili e delle persone materiali, di quelli che in qualunque momento arrivasse la morte non sarebbero pronti perché è la qualità dei giorni l’unica maniera di perdere a testa alta la battaglia persa contro il tempo.
Spegnetevi per restare fisicamente vivi.
Ci è vietato assistere un vicino vecchio o uno povero con le dovute precauzioni, far lavorare chi non può permettersi di non farlo in condizioni di reciproca sicurezza.
E’ difficilissimo fare un tampone per verificare se siamo persone sane che debbono procurare di rimanere tali o se siamo portatori sani che devono premurarsi di proteggere gli altri.
Ai politici che mutilano con voluttà porcina sanità e istruzione, quanto tempo si può concedere per offrire uno schema di azione collettiva programmata e coerente per far fronte in modo razionale ad una realtà che non evaporerà fra due settimane e può ripresentarsi in ogni momento?
La sola ricetta al momento è l’alienazione, la divisione dello spirito di una persona dalla dimensione spazio temporale della sua esistenza, ma l’alienazione è l’assassinio di un vivo.
Educarci alla passività e alla convinzione che non abbiamo nessuna capacità di immaginare una alternativa più intelligente o più giusta della soluzione piatta e vile di un burocrate piatto e vile, è il sogno proibito dei nemici della libertà e della dignità delle persone da sempre.
Non ci sono epoche, né paesi, né ideologie che possano tirarsi fuori dalla costante tentazione di appiattirci di spalle gli uni agli altri con le orecchie aperte e la bocca chiusa.
Ma se accettiamo come fosse giusto che obbedienza e fragilità siano valori, va da sé che responsabilità e forza sono i nuovi disvalori.
Questa è la riflessione semplice con cui dovremmo affrontare il “dopo” quando la banca sostituirà la Chiesa e farà cadere dall’alto quattrini che avremmo potuto guadagnare -né chiedere né rendere a nessuno- comportandoci con coscienza e partecipando a pensare, applicare, far applicare regole condivise e rispettose della nostra intelligenza.
Siamo stati contemporaneamente offesi e lasciati soli, senza presidi sanitari moltiplicati come funghi, senza stanziamenti immediati e straordinari per consentire la diagnosi e cura a domicilio, senza pedagogia sociale per alzare il livello di reattività positiva, senza un piano di utilizzo parcellizzato dello spazio pubblico atto a prevenire la pressione psicologica e le conseguenze sulle famiglie, sull’infanzia, sulle persone depresse, sui vecchi soli, sui poveri che non possono uscire per chiedere aiuto.
Siamo stati arruolati volontari per il provino per un brutto film.
Un film in cui si dà per scontato che le garanzie e i diritti di cui disponiamo possano essere cancellati in un attimo senza clamore, che i più imbecilli e scriteriati fra di noi debbano essere il metro di misura per dressarci tutti alla passività, alla pigrizia intellettuale, al reciproco controllo.
All’immunità di fatto di chi comanda rispetto ai propri errori e inadempienze si abbina in una prima cinematografica assoluta, la punibilità di fatto di chi non comanda indipendentemente da meriti e demeriti.
Tutti in isolamento, fino a quando?
Fino a quando si aprirà la porta, come nelle segrete di un castello in cui un giorno ti rinchiudono, un altro ti fanno uscire.
Abbiamo tanto tempo per riflettere in questi giorni.
Claudia Maria Sini