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    Il senso delle parole: richiedente asilo

    Una delle caratteristiche della neolingua politicamente corretta è quella di sostituire le parole singole con circonlocuzioni, di solito di due parole.

    Il perché di questa sostituzione è facile da intendere.

    I politicamente corretti vogliono abolire d’imperio certe parole che, chissà perché, ritengono “insultanti”.

    A volte si riesce a sostituire la parola incriminata con un’altra, ad esempio, i vecchi diventano “anziani”, gli zingari “rom”, i normali “normodotati” e così via.

    Altre volte la sostituzione secca, una parola al posto di un’altra, si rivela invece impossibile.

    Si ricorre così all’espediente di sostituire la parola incriminata con circonlocuzioni che permettono di evitare l’uso del termine proibito.

    Zoppo diventa in questo modo “diversamente deambulante”, il disabile si trasforma in “diversamente abile”, un bidello è trasformato in “collaboratore scolastico” mentre una persona di bassa statura diventa “verticalmente svantaggiata”.


    Alla base di tali ridicoli contorcimenti linguistici sta la convinzione che parole come “bidello”, “basso” o “disabile” siano insulti, come se fosse disonorevole essere alto un metro e sessanta, o esercitare il mestiere di bidello o ancora soffrire di qualche disabilità.

    Per certi progressisti evidentemente meritano rispetto solo gli spilungoni, le persone dal fisico scattante e i professori universitari.

    Pareri…

    Se prese sul serio queste sostituzioni farebbero perdere alle parole il loro significato.

    “Diversamente abile” vuol dire, ad esempio, abile in maniera diversa.

    Ma è questo ciò a cui pensiamo quando definiamo Tizio, immobile su una sedia a rotelle, “diversamente abile”? Evidentemente no.

    La sua diversa abilità è qualcosa che lo pone in una situazione non invidiabile, che chi usa certi giri di parole non cambierebbe mai con la propria.

    Si usa “diversamente abile” riferendosi ad una persona priva di un braccio.

    Eppure anche chi ha entrambe la braccia è “diversamente abile” rispetto a chi ne ha una sola.

    Le circonlocuzioni cercano di nascondere realtà ritenute, a torto o a ragione, spiacevoli, ma hanno un loro senso solo perché dietro a loro sta la parola originaria.

    “Diversamente abile” conserva un senso ed un significato definiti solo perché chi usa questa circonlocuzione sa che il suo significato è disabile.

    Senza questo rimando al termine proibito la circonlocuzione significherebbe tutto ed il contrario di tutto. “Diversamente intelligente” potrebbe significare geniale come imbecille.

    E perdere ogni senso.

    C’è una circonlocuzione al cui non senso val la pena di dedicare un po’ di spazio.

    Si tratta di “richiedente asilo”, due paroline magiche che i politicamente corretti vogliono sostituire al termine “clandestino”.

    La parola “clandestino” è brutta, odora di “razzismo” e contraddice le sacre regole della accoglienza.

    E’ clandestino chi entra in un paese illegalmente, senza aver rispettato le procedure previste, privo dei documenti di ingresso, spesso di qualsiasi documento.

    E’ normale non accogliere i clandestini, nessun paese lo fa.

    Quindi bisogna dire che i clandestini non esistono, esistono al loro posto i “richiedenti asilo”.

    Ma cosa vuol dire, con precisione “richiedente asilo”?

    Vediamo un po’.

    Richiedente è il participio presente di “richiedere”.

    Il participio è una forma verbale che può assumere la forma di sostantivo od aggettivo.

    Ad esempio: cantante, participio presente di “cantare”, può diventare un sostantivo: chi esercita l’arte, la professione del canto, oppure aggettivo: persona che canta.

    Qui tutto è chiaro, non ci sono equivoci.

    Ma il discorso è lo stesso se ci riferiamo a “richiedente asilo”?

    Possiamo dire che “richiedente asilo” sia un sostantivo che indica un’arte, una  professione, una attività?

    La risposta è NO.

    Esistono i cantanti, le badanti, i lavoranti, i mendicanti, non i richiedenti.

    Quindi neppure i richiedenti asilo.

    Oppure “richiedente asilo” è un aggettivo che indica, di nuovo, la attività o lo status sociale di qualcuno? Chiaramente NO.

    Se dico che Tizio è cantante o insegnante esplicito la attività di Tizio, ma se dico che Tizio è “richiedente asilo” faccio forse la stessa cosa?

    Richiedere asilo è forse un lavoro o uno stato?

    Che lavoro fai?

    Il richiedente asilo.

    Non è un gran che come risposta.

    O si tratta di una caratteristica importante, che qualifica certe persone?

    Il religioso è un fervido credente, è amante chi ha una relazione sentimentale non coniugale, ma… chi è richiedente?

    Uno che si definisce per il fatto di richiedere?

    Potremmo chiamare in questo modo una qualsiasi persona che conosciamo?

    Non credo.

    In realtà “richiedente” significa: che ha richiesto o che richiede”.

    “Richiedente asilo” non indica la attività, lo status sociale né alcun’altra caratteristica rilevante di una persona, ma solo il fatto che ha effettuato o effettua una richiesta che potrà venire accolta o respinta.

    Ed è abbastanza chiaro che l’aver fatto una richiesta non definisce in alcun modo qualcuno a qualcosa, non chiarifica chi o cosa egli E’.

    Se mi si chiede chi o cosa io sia non posso rispondere che sono un “richiedente il rinnovo della patente” solo perché ho fatto richiesta di rinnovo.

    Sarebbe come se mi definissi “mangiante pizza” solo perché a volte mi reco in pizzeria.

    Tutto il discorso sui “richiedenti asilo“ si basa quindi su equivoci e non sensi.

    Si cerca di trasformare in caratteristica essenziale di certe categorie di persone il semplice, inessenziale fatto che queste hanno fatto una richiesta.

    E si cerca, parimenti, di sostituire questo fatto inessenziale a loro caratteristiche estremamente rilevanti: il fatto che sono illegalmente in un paese, che sono prive di documenti, che detestano spesso i regimi politici degli stati cui chiedono asilo, che a volte diventano uccel di bosco senza neppure aspettare l’esito della loro richiesta.

    Addirittura si pretende di definire “richiedenti asilo” persone che neppure hanno fatto, e che forse non faranno mai, la domanda di asilo.

    Arrivano su barconi “quindi” sono richiedenti asilo”.

    Qualcuno potrebbe obiettare che “richiedente asilo” indica in realtà alcune caratteristiche essenziali di una persona: la sua militanza politica, la fedeltà a certi valori che gli è costata persecuzioni per le quali è costretto a chiedere asilo.

    Ma l’obiezione non coglie assolutamente nel segno.

    Ad essere essenziali in casi simili sono le idee ed i valori di una persona, non il fatto che abbia richiesto asilo.

    Può richiedere asilo chi è davvero perseguitato per le sue idee come chi non lo è, chi crede in certe cose e chi vuole solo ritardare il procedimento di espulsione.

    Da qualsiasi punto di vista si guardino le cose la pretesa di usare la circonlocuzione “richiedente asilo” in modo definitorio è semplicemente insensata.

    Espressione della solita logica malata dei politicamente corretti.

    Da rifiutare, senza se e senza ma.

    Giovanni Bernardini

     

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