Non si conosce ancora bene come avviene la trasmissione del coronavirus SARS COV-2, si considera la trasmissione per zoonosis, è universalmente accettato che sia così ma i recentissimi contagi occorsi negli allevamenti europei di visoni aprono la possibilità ad una “zoonosis” inversa.
Cosa è accaduto in Olanda e da pochi giorni in Spagna?
Si è prodotto un caso di trasmissione di coronavirus tra gli addetti e lavoratori di un allevamento di visoni.
È utile ricordare che in passato negli stessi allevamenti olandesi si era prodotto una epidemia di febbre Q.
In Spagna il contagio si è verificato da un paziente zero esterno all’allevamento: la moglie di un dipendente della “granja” è affetta da coronavirus, contagia il marito e questi a catena alcuni collaboratori e gli animali.
In principio solo pochi i visoni infettati poi a luglio l’epidemia tocca cifre allarmanti e danno un quadro epidemiologico importante: l’87% degli animali sono ammalati di coronavirus e l’autorità sanitaria aragonese decide lo sterminio completo di tutti gli animali anche di quelli non contagiati.
Ed è assolutamente scartata la possibilità di salvarli.
Se per la specie umana vale il principio per cui a malattia infettiva altamente contagiosa si agisce per protocollo secondo le due direttive di isolare il paziente e gestire i sintomi, perché con la specie animale di competenza della medicina veterinaria non è permesso isolare e gestire?
Colpisce quindi la differenza di metodologia e protocollo per una situazione di zoonosis che è l’emblema di quel fortunato progresso che ha visto la fusione delle due medicine in una, una sola salute interessa il pianeta e quindi ONE HEALTH è il principio base della sanità mondiale.
Il caso porta con se numerosi punti di analisi, il primo è il confronto con Excalibur, il cane dell’infermiera infettata d’ebola qualche anno fa.
A nulla valsero i tentativi delle associazioni animaliste di salvare la vita del cane senza sapere se avesse contratto o meno la malattia e fu abbattuto per come prevedeva la legge sanitaria.
Per i visoni neanche un tentativo è stato fatto.
Intendiamoci, l’allevamento era per produrre pelliccia, per cui la vita di questi animali nati e cresciuti per questo scopo non sarebbe andata molto al di là di qualche mese, ma il punto è un altro: il protocollo in caso di animali contagiati in “granja”.
Interessante valutazione da fare è, a questo punto, se il terrore per il COVID è superiore a quello per i dati certi della mortalità dell’ebola.
A fronte di nessuna certezza si è scelto per precauzione.
E questo è il secondo punto: fino a quando la precauzione sarà un sistema scientificamente valido per stabilire politiche sanitarie?
Il terzo riguarda tutta una serie di considerazioni collaterali alla possibile forma di contagio del virus.
Se di zoonosis si tratta, di zoonosis deve trattarsi e allora bisognerebbe rivedere i protocolli di intervento.
Sarebbe più opportuno isolare e curare i sintomi e vedere il progresso o regresso della malattia in una specie animale.
Considerando che il contagio dei visoni rappresenterebbe proprio lo “spillover”, quel salto di specie utile a capire come si trasmette il virus.
Se si tratta di una zoonosis inversa, se cioè ad infettare l’animale sia stato l’uomo non basta sacrificare la specie contagiata per eliminare il problema.
Se infatti, come si accennava sopra siamo giunti ad una unica salute e se la nostra non è separata da quella del mondo animale, va da sé che la medicina umana deve essere assimilata a quella veterinaria con un unico protocollo. Sembra però che quando si tratta di difendere e proteggere l’uomo il criterio “one healt” significa piuttosto medicina veterinaria al servizio della umana e non integrata in una unica complessiva salute.
Dagli studi negli allevamenti olandesi si è concluso che il virus non fuoriesce ma si esaurisce all’interno dell’allevamento stesso.
Sarebbe un dato da tenere in conto.
In Olanda per esempio i cuccioli di visone nati nella pandemia non sono stati abbattuti.
Evidentemente considerano il latte materno come veicolo di anticorpi.
Studiare le mutazioni del virus sembrerebbe l’unica cosa possibile, sia in campo umano che animale e soprattutto aprire i comitati scientifici al personale sanitario che si occupa nei laboratori di virologia e epidemiologia.
Che dire, aspettiamo che, considerato che la moda non si avvale più di pelli e pellicce di origine animale, chiuderanno anche questi ultimi allevamenti di visone in Europa.
In Olanda il governo ha già stabilito da tempo la chiusura di tutti gli allevamenti entro il 2024, in Italia sono chiusi da anni, gli ultimi quelli di Parma e Venezia.
E anche che, vista la scarsa se non addirittura inesistente attenzione, che i salotti politici spagnoli hanno dedicato alla medicina veterinaria nella gestione di questa pandemia, qualcosa alla luce degli ultimi eventi possa migliorare. Sperando anche che nella opinione pubblica si faccia sempre più presente l’importanza della medicina veterinaria.
Giovanna Lenti
(NdR e si è aggiunta una notizia di CENTINAIA DI MIGLIAIA di visoni abbattuti in Olanda…)