Le norme fiscali (non solo quelle spagnole) applicate ai profitti delle imprese spesso si sono dimostrate obsolete di fronte al progresso tecnologico e alla globalizzazione dei mercati.
Per questo motivo sono iniziate trattative a livello nazionale ed internazionale – all’interno dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE), del G20 e dell’Unione Europea – per trovare una formula che adatti l’applicazione della normativa fiscale dei diversi Paesi alla digitalizzazione dell’economia e costringa le grandi aziende a tributare laddove creino valore.
L’Impuesto sobre Determinados Servicios Digitales, approvato con la Ley 4/2020 del 15 ottobre scorso, meglio conosciuta come “Tassa Google”(anche se in questo caso non si tratta di una tassa, bensì di un’imposta), riguarderà alcune operazioni effettuate da grandi multinazionali che attualmente non sono soggette ad alcun tipo di tributo: nello specifico, colpirà la pubblicità online (su pagine web, piattaforme o programmi), i servizi di intermediazione digitale che consentono agli utenti di Internet di interagire tra loro e la vendita di dati generati da informazioni fornite dall’utente su pagine web o piattaforme.
Il nuovo tributo, che sarà liquidato trimestralmente ed avrà un’aliquota del 3%, si applicherà solo a quelle imprese o gruppi con un reddito globale di oltre 750 milioni di euro ed un fatturato in Spagna superiore a 3 milioni.
L’imposta verrà perciò riscossa sui motori di ricerca come Google, sulle piattaforme digitali come Amazon o sui social network come Facebook, solo per fare alcuni esempi.
Sono previste sanzioni fino allo 0,5% dell’importo netto del fatturato per le aziende che tentino di nascondere l’ubicazione dell’utente del servizio falsificando o occultando l’indirizzo IP (infatti è in funzione dell’ubicazione dell’utente che si stabilisce se l’operazione debba essere oggetto di imposizione fiscale in Spagna).
Nonostante il Governo spagnolo preveda un ingresso nelle casse dell’Erario di oltre 900 milioni di euro, alcune associazioni che rappresentano gli imprenditori del settore tecnologico come la AEMETIC e la ADIGITAL evidenziano che le ripercussioni negative di questa imposta sull’economia del Paese potrebbero vanificare il beneficio derivante da un incremento del gettito fiscale.
Secondo uno studio della PricewaterhouseCoopers (una società che fornisce servizi di consulenza legale e fiscale a livello internazionale) a corto e medio termine si verificherà un impatto economico negativo principalmente su due fronti:
1 quello delle piccole e medie imprese.
Le multinazionali trasferiranno il peso della nuova imposta sulle piccole e medie imprese che sono parte del loro network come intermediari, attraverso un incremento dei costi delle piattaforme, del marketing on line e di tutti i servizi satellite di cui queste imprese hanno bisogno.
2 quello degli utenti finali dei servizi.
Nonostante l’imposta non interessi direttamente l’utente, questi ultimi si faranno inevitabilmente carico di una parte della stessa.
Prevedibilmente infatti le imprese intermediarie incrementeranno a loro volta i prezzi dei loro servizi, con un conseguente maggior esborso da parte dell’utente che vedrà il suo potere acquisitivo ridursi o addirittura scomparire.
Si è calcolato che questi due fattori combinati produrranno un impatto negativo sul PIB (Producto interno Bruto) di circa 660 milioni di euro.
Gli esperti del settore tecnologico, inoltre, sottolineano che le conseguenze sul lungo termine potrebbero tradursi in un rallentamento della digitalizzazione dell’economia, essenziale per garantirne la competitività, nonché in un effetto distorsivo sul mercato, considerato che le aziende con un tasso di digitalizzazione più elevato potrebbero decidere di investire nei mercati di Paesi che non applicano questo tipo di tributo.
Avv. Elena Oldani
Ley 4/2020, de 15 de octubre, del Impuesto sobre Determinados Servicios Digitales
www.aemetic.es