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    L’ONU ha 75 anni…  ma come se li porta?

    Una settimana fa, il 24 ottobre, l’ONU (Organizzazione delle Nazioni Unite) ha compiuto 75 anni: il 25 aprile 1945 (due settimane prima della resa della Germania nella seconda guerra mondiale) i rappresentanti di 50 Stati si riunirono a San Francisco per redigere il suo statuto, approvato il seguente 25 giugno ed entrato in vigore il 24 ottobre, giorno dell’inizio ufficiale dei lavori.

    Nel 1945, nella fase finale della tragedia della seconda guerra mondiale costata 54 milioni di morti, due devastanti bombe atomiche sganciate sul Giappone e immani distruzioni, crudeltà e sofferenze, era comprensibile il desiderio di creare un’istituzione sovranazionale capace di prevenire la ripetizione di simili disastri… ma quale bilancio possiamo fare di quel progetto 75 anni dopo?

    Prima di fare un consuntivo dei successi e degli insuccessi è indispensabile capire di cosa stiamo parlando, delineando la struttura decisionale e operativa dell’ONU, che si articola principalmente in due organismi: l’Assemblea generale e il Consiglio di sicurezza.

    Dell’Assemblea generale fanno parte con funzione consultiva 193 Paesi, a cui si aggiungono come osservatori il Vaticano e la Palestina.

    “Con funzione consultiva” in pratica significa la sola facoltà di formulare pareri e proposte: infatti le “risoluzioni” (così sono chiamate le delibere dell’ONU) votate dall’Assemblea generale sono definite “raccomandazioni” dagli articoli 10 e 14 dello Statuto e quindi non sono vincolanti.

    Ben più importante, perché le sue risoluzioni sono vincolanti (anche se poi la loro effettiva implementazione è un’altra storia…), è il Consiglio di sicurezza composto da 15 membri, di cui 5 permanenti e 10 temporanei eletti ogni due anni dall’Assemblea generale.

    Ed ecco che qui già si presenta la prima problematica, ossia la rappresentatività, perché in pratica il ruolo dei 188 Paesi non membri permanenti del Consiglio di sicurezza si riduce a quello di spettatori senza nessun potere decisionale (nemmeno a votazione di maggioranza), ma con le sole facoltà di avanzare proposte e di eleggere fra loro ogni due anni i 10 membri temporanei del Consiglio.


    Tutto il potere decisionale è concentrato nei 15 Paesi membri del Consiglio di sicurezza: in pratica, diciamolo senza ipocrisie, è una loro dittatura, e per di più con poteri disuguali, perché la mazza ferrata del veto di uno solo dei 5 Paesi membri permanenti basta per bloccare qualsiasi risoluzione, anche se fosse approvata dagli altri 14 componenti del Consiglio e appoggiata unanimemente dall’Assemblea generale.

    E chi sono questi 5 potentissimi Paesi…?

    Sono appunto i 5 principali vincitori della seconda guerra mondiale terminata ben 75 anni fa, e cioè gli Stati Uniti; la Russia, che ha ereditato il seggio dalla defunta Unione Sovietica; la Repubblica Popolare cinese, che nel 1971, nonostante l’opposizione statunitense, sostituì in Consiglio la Repubblica di Cina, oggi confinata nell’isola di Taiwan dopo essere stata anche espulsa dall’ONU e le cui richieste di richieste di riammissione sono state sempre respinte per volontà di Pechino, che la considera una sua provincia ribelle; la Francia e il Regno Unito.

    Nel 1945, quando fu creata l’ONU, questi Paesi pensarono forse anche a preservare la futura pace nel mondo, ma evidentemente anche a perseguire abbastanza spregiudicatamente i propri interessi approfittando della loro posizione di recenti vincitori dell’immane conflitto.

    Dunque il difetto mi pare congenito: nel 1945, già prima della fine formale della guerra, i principali vincitori si attribuirono non solo il diritto di decidere a tempo indeterminato per tutto il mondo, ma anche di opporre insindacabilmente il proprio veto a qualsiasi decisione a loro sgradita per qualsiasi motivo.

    Ma ancora più grave mi pare l’anacronismo dell’enorme potere attribuitosi nel 1945 da questi 5 Paesi, che 75 anni dopo la fine della seconda guerra mondiale non svolgono più quel ruolo internazionale di primissimo piano che allora forse poteva, in qualche modo, motivare la loro dittatura mondiale: non solo la Francia e il Regno Unito sono molto decaduti in questi 75 anni, ma anche la Russia non è più la superpotenza mondiale che fu l’URSS fino al suo sgretolamento, e gli stessi Stati Uniti non sono più i padroni indiscussi del mondo; a ben guardare, la Cina è l’unico dei 5 che in questi tre quarti di secolo non ha perso terreno e anzi ha rafforzato la propria posizione internazionale. Col passare del tempo si sono intensificate le critiche e le proposte di riforma di questo ordinamento ormai logoro: nel 2005 l’allora segretario generale dell’ONU, il ghanese Kofi Annan, propose l’allargamento del Consiglio di sicurezza a 24 membri, ma senza intaccare il potere di veto dei 5 membri permanenti.

    Altre proposte sono state avanzate nel tempo da vari Paesi: ad esempio il cosiddetto Gruppo dei 4 riunisce Brasile, Germania, Giappone e India, che per il loro peso economico o demografico reclamano l’ingresso in Consiglio di sicurezza come membri permanenti; c’è poi il gruppo “Uniting for Consensus”, fondato nel 1995 (ben 25 anni fa…!) da Italia, Egitto, Messico e Pakistan, a cui nel tempo si è aggregata una cinquantina di altri Paesi tra cui Spagna, Argentina e Corea del Sud.

    Gli aderenti a “Uniting for Consensus”, essendo per così dire Paesi di seconda fascia non abbastanza importanti da aspirare a un seggio inamovibile, sono contrari all’aumento del numero dei membri permanenti, puntando piuttosto ad aumentare a 20 quelli non permanenti e ad abolire o limitare il potere di veto dei 5 grandi.

    Anche l’Unione africana chiede un seggio permanente, per il quale i candidati principali sarebbero – forse a rotazione – Nigeria, Sudafrica ed Egitto; infine l’Organizzazione per la cooperazione islamica chiede anch’essa un seggio permanente musulmano, ma è ancora molto vago a chi dovrebbe spettare.

    Tutte queste proposte ovviamente sono avversate dai membri permanenti, ostili a ogni riforma e particolarmente alla perdita del diritto di veto; e poiché per qualsiasi cambiamento è indispensabile il loro consenso, e come dice ironicamente il proverbio difficilmente i tacchini votano per anticipare il Natale, la situazione rimane ingessata allo statu quo, per quanto ingiusto possa essere.

    Un altro aspetto critico è la proliferazione di agenzie, fondi, programmi e istituti specializzati disseminati per il mondo (attualmente complessivamente più di 30), accusati da alcuni di spendere più per i loro dipendenti che per gli obiettivi nominali.

    Tra questi enti spiccano l’OMS (l’Organizzazione mondiale della sanità), protagonista in questo 2020 di accese controversie per alcune sue decisioni contraddittorie durante la cosiddetta “pandemia” di coronavirus; la FAO (con sede a Roma), che si occupa di alimentazione e agricoltura; l’UNESCO, che si interessa di educazione, scienza e cultura; l’UNICEF, dedicata alla protezione dell’infanzia; la World Bank, ossia la Banca mondiale; la IAE, che si occupa di energia atomica, e molte altre.

    Per il loro ruolo controverso e molto “schierato” ricordo in particolare l’UNHCR, cioè l’Alto Commissariato dell’ONU per i rifugiati, di cui prima di dedicarsi alla politica in un partito di sinistra fu portavoce per l’Italia l’ex presidente della Camera dei deputati Laura Boldrini, fervente sostenitrice degli sbarchi dei cosiddetti “migranti” nei porti italiani; e l’organizzazione gemella UNRWA, sigla che tradotta significa “Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e le opere”, dedicata però (anche se il nome non lo dice) ai soli rifugiati palestinesi.

    In teoria l’UNRWA dovrebbe occuparsi di aiuto, sviluppo, istruzione, assistenza sanitaria e servizi sociali ai rifugiati palestinesi, ma più volte ho letto personalmente in Facebook annunci della sua filiale spagnola contenenti violente invettive contro Israele e inviti espliciti a firmare in campagne contro “l’oppressione israeliana”; francamente mi pare inopportuna una posizione tanto schierata in un’agenzia dell’ONU, che dipende direttamente dall’Assemblea generale e che quindi dovrebbe essere politicamente neutra.

    E i risultati ottenuti… sono sufficienti per giustificare il costo altissimo dell’elefantiaco apparato dell’ONU? Iniziamo ricordando che l’ONU non è mai stata un organismo veramente imparziale: durante la “guerra fredda” la frattura tra il blocco occidentale guidato dagli USA e quello sovietico guidato dall’URSS era ben chiara anche nell’ONU e si rivelò un fattore paralizzante, che salvo rare eccezioni ne permise l’intervento solo in guerre estranee ai conflitti combattuti “per delega” qua e là nel mondo tra le due superpotenze planetarie di allora.

    Fino a quando durò la “guerra fredda” questa divisione ideologica e pratica dell’ONU costituì un vincolo sostanziale alla sua efficacia e ancora oggi il limite dell’ONU è la tendenza dei suoi partecipanti a cercare di piegarla ai propri orientamenti ideologici e di servirsene per i propri interessi.

    Nel 1948 la forza di interposizione tra gli arabi e l’appena costituito Stato di Israele (denominata UNTSO ) fu la prima missione di “mantenimento della pace” dell’ONU, che da allora ne ha svolto molte altre… alcune riuscite e altre meno.

    Tra gli insuccessi maggiori si ricordano l’incapacità di impedire il genocidio dell’etnia Tutsi commesso dall’etnia rivale degli Hutu in Rwanda nel 1994 e il massacro di Srebrenica durante la guerra civile nell’ex Yugoslavia nel 1995.

    Più volte le forze di interposizione dell’ONU (detti “caschi blu” dal colore dei loro elmetti) sono state coinvolte in scandali di prostituzione – spesso con minorenni maschi e femmine – in Bosnia, Cambogia, Haiti, Kosovo e Mozambico, a volte diffondendo gravi malattie sessuali tra la popolazione.

    Spesso i caschi blu vengono loro stessi da Paesi in via di sviluppo e, come scriveva 2.000 anni fa il poeta latino Orazio in un bellissimo verso che ho adottato come motto nel mio profilo di Facebook (“Caelum non animum mutant qui trans mare currunt”, ossia chi varca il mare cambia il cielo sopra la sua testa, ma non la sua mentalità), non basta porre piede in un altro Paese o continente per modificare automaticamente il modo di pensare e di agire in cui si è nati, cresciuti e pasciuti; è una verità che oggi come 2.000 anni fa vale per tutti, compresi sia gli italiani che lasciano l’Italia sia gli stranieri che ci arrivano legalmente o clandestinamente.

    Nelle intenzioni degli ideatori dell’ONU c’era molto di buono, ma il passare del tempo ha aggravato i suoi difetti congeniti, trasformandola in una palestra di fioriti proclami sui massimi principi alla moda, però come spesso accade distorti dai comportamenti, in primis nella stessa ONU.

    75 anni dopo la creazione, non si vedono nemmeno gli inizi della profonda riforma che sarebbe necessaria per appianare le visibilissime rughe.

    Francesco D’Alessandro

     

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