L’arrivo di un nuovo virus un anno fa colse tutti di sorpresa complice una consueta Cina omertosa sulle faccende interne.
Poi l’interno è esploso e il virus ha contagiato ad oggi 98 milioni di persone.
La gestione della pandemia ha preso tutti i governi sprovveduti, e di colpo ci siamo accorti, come se già non lo sapessimo, di quanto impreparati fossero i nostri rappresentanti istituzionali, spagnoli e italiani.
Anche gli altri ma parliamo dei nostri: deboli con imprevisti da forti scelte coraggiose ma forti con imprevisti da gestire con buonsenso.
A distanza di un anno abbiamo economie in bilico tra la derrota e la agonia perenne.
È da un anno che si invoca la scienza per superare le impasse di stato di emergenza e ora sembra vacillare anche questa.
A tempo di record la cooperazione tra virologi, biologi da laboratorio e medici e la concentrazione degli sforzi verso l’unico obiettivo, bloccare il coronavirus, ha permesso la sperimentazione di un vaccino.
Di sicuro un risultato encomiabile che dà speranza per una sanità mondiale veramente efficace.
Sappiamo tutto, da quando si iniziò a parlare di vaccino, sui passi obbligatori di una sperimentazione.
Abbiamo familiarizzato con parole come sperimentazione in vitro, fase pre-clinica e poi fase clinica.
Questa ultima è quella che autorizza all’immissione nel mercato del vaccino.
Quando però il vaccino viene somministrato c’è un quarto passaggio da monitorare composto da analisi su efficacia e sicurezza nei gruppi della popolazione a cui è somministrato; interazione del vaccino con altre patologie; rapporto costo/beneficio rispetto alla malattia e ad altri vaccini.
Significa che la popolazione a cui viene somministrato deve essere sana e questa condizione deve perdurare il più a lungo possibile.
Lo scopo del vaccino è la prevenzione, non la cura.
Il che significa che in ogni momento la sperimentazione e la somministrazione possono essere interrotte qualora una sola delle condizioni fondamentali che lo hanno promosso venga meno.
Questo significa a malattia debellata ma anche a rapporto costo/beneficio non equilibrato e significa anche reazione non conforme ad altri vaccini e/o patologie.
In quale parte del processo stiamo ora?
Ci approssimiamo alle settimane di riduzione di somministrazione dosi.
Le aziende farmaceutiche hanno informato di riduzioni dopo i ritardi nelle consegne.
Frastornati da varianti geografiche, virologi televisivi, virologi da laboratorio, abbiamo anche imparato i nomi delle case farmaceutiche (e siccome di case farmaceutiche si tratta nel bel mezzo della pandemia muore pure Jhon Le Carrè che un libro su come si sperimentano farmaci e vaccini lo scrisse e non era proprio questa gloria di ricerca scientifica quella che avvolgeva le ditte farmaceutiche).
Ma ci fidiamo, dobbiamo fidarci.
Finalmente arriva quello della Pfizer, arriva ma servono i frigoriferi, i frigoriferi ci sono ma mancano le siringhe, con queste si estraggono 5 dosi ma sono 6 quelle che si possono estrarre dalle fiale.
Per cui si perde una dose.
Ma il contratto come è sottoscritto a fiale o a dose?
Importa?
E sì.
Perché improvvisamente si annunciano i ritardi, ci sta, la logistica va organizzata, ma ora che il vaccino c’è, ora che la scienza ha fatto il suo passo serve il piano di vaccinazione.
E la famosa dose extra è extra o rientra nelle consegne promesse?
Amen, proprio quell’amen non l’amen /a women del democratico statunitense.
Spagna pare che abbia i siti dove vaccinare, in Italia?
Facciamo la gara d’appalto.
I ritardi, spiegano, sono dovuti al rafforzamento nella produzione dello stabilimento belga di Puurs.
Ma c’è una sostanziale differenza tra le riduzioni annunciate dall’azienda farmaceutica e da quelle realmente tagliate: si va dall’annunciato 8% in meno all’effettivo 29% in meno.
Si gioca su fiale e dosi.
Dalle fiale sono estraibili sei dosi per cui i calcoli devono essere rifatti non con la dose extra ma con la dose effettiva.
Ma il punto resta i contratti sono a dosi o a fiale?
La Pfizer ha chiarito che le consegne erano a dosi, chiarendo così che il 20% in più della popolazione vaccinata con la sesta dose non era un extra ma un numero da calcolare nel programma.
I governi ora devono evitare di sperperare la sesta dose.
A questo punto non mancheranno dosi ma fiale secondo il calcolo errato dei vari commissari sanitari.
Fin qui il tecnicismo del problema e i vari intenti di azioni legali per i ritardi.
Tuttavia il contratto Pfizer-Stati è secretato, ma il vero problema qual era?
Cosa si sta preparando per questo febbraio e questa primavera?
Nella totale incertezza in cui l’approssimazione dei nostri politici ci ha messo, in mezzo ai dubbi più assurdi, alla pericolosità delle ipotesi complottistiche, la speranza nella scienza era un po’ come un “non ci credo ma ci spero”. La fine di questo virus di cui ancora ad oggi a distanza di un anno non conosciamo origine, trasmissione e mutazione, è la speranza riposta nel vaccino.
Ci hanno indotti a crederlo, hanno ragione, i vaccini hanno salvato la vita dell’uomo, salvano la vita dell’uomo, ma l’eccessiva enfasi per cui i governi hanno gestito i passi dalla fase in vitro alla somministrazione hanno di fatto nascosto il vero problema dell’immissione nel mercato di questo vaccino.
La popolazione mondiale è numerosa.
Vaccinare tutta la popolazione richiede tempo, richiede un ingente approvvigionamento di materie prime per la fabbricazione del vaccino e le risorse non sono presenti in natura ma vanno estratte o elaborate.
Occorre tempo.
Non ci sono strutture che hanno prodotto mRNA su così vasta scala è quanto ripetono i medici e i virologi che si occupano della produzione dei vaccini negli USA, (Maria Elena Bottazzi, virologa del Baylor College of medicine e del Texas Children’s Hospital di Houston).
È un processo lento che richiede enorme sforzi di approvvigionamento per produrre il vaccino.
L’esposizione mediatica dei rispettivi coordinatori dell’emergenza sanitaria dei distinti governi, ha portato a credere necessario e unico barlume di speranza il vaccino.
Quando arrivarono le prime dosi la Spagna mise lo stemma del Gobierno de Espana all’imballaggio esterno dei vaccini.
Quasi fosse un miracolo per la Spagna donato alla Spagna, creato da Spagna.
Ma non è un miracolo, è un procedimento scientifico ridotto in fiala.
Per cui subito i politici in cerca di consenso popolare, costante e fermo, hanno diffuso fiducia nei numeri e nel sistema di divisione settoriale della popolazione.
Alcuni poi, perché l’uomo ha sempre paura dell’ignoto e in questo caso anche del noto, hanno saltato la lista vaccinandosi prima del necessario.
La dose è diventata obiettivo esclusivo. ed è proprio sulla dose che la politica è caduta facendo rotolare sempre in basso, come se di conquistare una cima si trattasse, la verità scientifica.
Nel mentre qualche politico prende le distanze, qualcuno si candida in Catalogna, qualcuno fa un saliscendi dal Quirinale e la questione non è più di siringa, padiglione, primule, dosi distribuite, dosi somministrate.
La questione è: le case farmaceutiche si fermano.
Perché?
Perché è normale non si può produrre un quantitativo così esagerato di dosi senza incorrere in problematiche di logistica, distribuzione stoccaggio e approvvigionamento.
Arriviamo a febbraio con l’incertezza più pericolosa: c’è la seconda dose a coprire la vaccinazione della prima parte già iniettata?
Questo viene garantito ma dopo l’enfasi, l’entusiasmo, viene la delusione.
La colpa non è della scienza che prosegue il suo lavoro di ricerca.
La colpa è dell’opportunismo politico, poco chiaro nei messaggi continui e costanti, fuorviante con virologi tra loro in contraddizione, alla ricerca del consenso.
E davanti a questa empasse qual è la risposta che dà la politica di nuovo?
Recupera di nuovo la speranza nella scienza.
Invita ad accelerare la produzione del vaccino e dà risalto ad una novità: negli ultimi giorni iniziano a diffondersi, come fu per il vaccino, le notizie sui centri di ricerca e sviluppo del farmaco che guarisce dal coronavirus.
Il vaccino è prevenzione primaria, il farmaco secondaria.
Il farmaco subentra a malattia in corso, il vaccino vuole eliminarla.
Non è quindi il piano b come ce lo presentano i politici ma un normale fatto.
I governi dovrebbero aiutare ad individuare le infrastrutture e collaborare per supportare le mancanze della logistica delle ditte farmaceutiche, ad esempio.
Nel territorio Spagnolo ma anche italiano sono presenti grandi industrie farmaceutiche dedite alla medicina veterinaria, ad esempio.
Totalmente preparate e idonee per la fabbricazione e stoccaggio del vaccino.
I governi non dovrebbero fare da cassa di risonanza di un procedimento scientifico.
E noi che conosciamo i politici che votiamo che abbiamo passato un lockdwon terribile, vorremmo solo buon senso. Fidarci della medicina.
Il coronavirus ha messo in evidenza tutte le mancanze e i limiti del nostro sapere settoriale, siamo gestiti dalla politica in balia di virus e rischiamo di fallire perché poi arrivano le varianti e cosa diranno poi i governi per rassicurare la popolazione?
Dopo aver dato come unica via di uscita il vaccino, senza spiegare che i tempi saranno lunghi, iniziando a mettere in dubbio il vaccino parteggiando per il farmaco, come se le due strategie fossero in contraddizione o competizione e non complementari, dopo gli assoluti dichiarati per le mascherine: in una stagione validità assoluta per la chirurgica, in una per quelle di tela, in una terza per la ffp2.
Come se non bastasse, i governi e la Unione Europea aggiungono l’accusa alle aziende farmaceutiche di rivendere a terzi le dosi di vaccino promesse nei paesi dell’unione. cosa ci aspetta?
Niente, l’opportunismo politico, per dirla in spagnolo, si sta cargando la medicina.
Giovanna Lenti