Di Dubai, da qualche anno, si scrive e si dice di tutto, esagerandone, nella maggior parte dei casi, sia i pregi che i difetti.
Mai come oggi però, complici l’assenza di tasse sul reddito personale, l’avvicinarsi di Expo e la pandemia da Covid-19 che, in Italia, ha messo in ginocchio migliaia di attività, sono sempre di più gli italiani che sognano il “grande salto” in terra emiratina.
I pregiudizi e i luoghi comuni, come dicevamo, non aiutano affatto, anzi: da un lato creano lo stereotipo della città dove “tutto è facile e tutti possono facilmente guadagnare milioni”, dall’altro quello che sia “un posto solo per ricchi”, dove aprire una società sia una “mission impossible”.
“Non lo è affatto, anzi – spiega Tiziana Corradini, a Dubai dal 2013, esperta di delocalizzazione e internazionalizzazione delle imprese, che qui ha fondato e dirige la società “Outstanding life”.
Per gli imprenditori che vogliono aprire una sede della loro società italiana, o costituirne una da zero, qui negli Emirati Arabi esistono diverse possibilità.
I macro-tipi di aziende tra cui si può scegliere sono sostanzialmente due: la società “Mainland” (LLC, che significa società a responsabilità limitata) prevede che il 51% delle azioni sia a nome di un socio locale, il cosiddetto “sponsor”, mentre il 49% sia a nome del cliente straniero.
Questo particolare tipo di azienda viene utilizzata solo quando si desidera operare sul territorio fisico degli Emirati, come ad esempio aprire un negozio, un ristorante o una società di manutenzione che eserciti in tutto il Paese.
La società in una Free Zone, invece, prevede che il 100% delle azioni sia a nome del cliente estero e sia utilizzata, ad esempio, per acquistare proprietà immobiliari, per creare delle holding, delle società di General Trading- Commercial (import-export) oppure di Consulting.
Esistono diverse Free Zone, con costi e condizioni diverse, che rilasciano licenze specializzate a seconda del tipo di società che si desidera aprire.
Entrambe queste tipologie di aziende consentono di ‘sponsorizzare’ anche il coniuge e figli del titolare, oltre che, ovviamente, i dipendenti”.
“Anche i tempi sono molto più veloci di quello che generalmente si pensa”, specifica la dottoressa Corradini, che garantisce l’apertura di una nuova società in 24 ore, l’emissione del visto in una settimana e mezzo, l’apertura del conto corrente personale in una settimana e di quello aziendale in tre settimane al massimo, “ma solo se si tratta di clienti assolutamente trasparenti.
Ho fatto la scelta di non lavorare mai e per nessun motivo con persone equivoche”.
Chi, invece, vuole lavorare a Dubai come dipendente o come lavoratore autonomo, ha almeno tre possibilità. Partiamo dal lavoro dipendente: per trovare un lavoro, Covid e restrizioni temporanee a parte, per un italiano è possibile venire a Dubai con un visto turistico (gratuito, della durata di 90 giorni) e cercarlo direttamente sul posto, oppure affidarsi a head hunter o a siti internet dedicati dall’Italia (ma attenzione alle truffe: se viene chiesto di inviare denaro o anticipare spese, sarà certamente una di quelle).
Una volta firmato il contratto, il datore di lavoro diventa lo “sponsor” e si incaricherà di convertire il visto turistico in quello lavorativo, di fornire l’assicurazione sanitaria (il cui livello di copertura varia tantissimo in base al lavoro stesso e allo stipendio) e pagare almeno un biglietto di andata e ritorno all’anno per l’Italia.
La casa può essere fornita direttamente dal datore di lavoro oppure, più frequentemente pagata come allowance inclusa nello stipendio.
La Licenza Free lance, invece, è obbligatoria per chiunque lavori autonomamente e non abbia la necessità di aprire una vera e propria società.
E’ utilizzata per esercitare qualunque tipo di arte o mestiere indipendente, dal web designer al musicista, dalla guida turistica al parrucchiere a domicilio.
Anche con questa licenza, purché vengano raggiunti i criteri di guadagno minimo, è possibile sponsorizzare coniuge e figli.
Infine, il Visto di lavoro da remoto: da qualche mese è possibile ottenere un visto di residenza pur lavorando per una compagnia straniera che non ha alcuna sede negli Emirati.
Basta poter dimostrare di guadagnare almeno 5.000 dollari (4.100 euro) al mese e provvedere da soli alla propria assicurazione medica.
Esistono poi altre due tipologie di visto residenziale che, però, non consentono di esercitare alcuna professione: il Visto per Investitori (disponibile per chi investe in immobili finiti e senza accendere mutui del valore minimo di un milione di Dirham, circa 224.000 euro) e il Visto per Pensionati (a chi ha almeno 55 anni ed è in pensione è, da qualche mese, permesso vivere a Dubai e ricevere direttamente qui la pensione senza che, a questa, venga dedotto alcun importo in tasse.
Per poter accedere a questo tipo di visto, della durata di 5 anni (rinnovabile), bisogna investire in una proprietà di almeno due milioni di Dirham (448.000 euro) oppure dimostrare di avere risparmi per almeno un milione di Dirham o, ancora, di avere una pensione (o una rendita) di almeno 20.000 dirham (4.500 euro) al mese.
“La cosa che ripeto continuamente ai miei clienti – conclude Tiziana Corradini- è di non venire mai qui alla cieca: se di questo posto sono impagabili sicurezza, serietà e correttezza, ci sono anche delle regole precise, molto diverse da quelle a cui siamo abituati noi, che non si possono ignorare.
Al di là di questo, comunque, non mi stancherò mai di ripetere quanto personalmente ami questo Paese: ha un grandissimo potenziale, l’atmosfera è veramente stimolante, il Governo incoraggia l’imprenditoria e ha sempre un occhio di riguardo nei confronti di investitori e imprenditori che vogliono portare qui il loro business”.
(NoveColonneATG)