Alla data di pubblicazione di questo numero di LeggoTenerife (1 dicembre 2021) si compiono 73 giorni dall’inizio dell’eruzione tuttora in corso sull’isola di La Palma. Quasi 11 chilometri quadrati ricoperti di lava che ha inghiottito oltre 1.500 abitazioni, con la conseguente evacuazione di circa 7.000 persone, l’8% della intera popolazione dell’isola. E poi ci sono i gas e la “cenere“…
Le emissioni di diossido di zolfo (la cosiddetta anidride solforosa) hanno raggiunto picchi fino a 50.000 tonnellate giornaliere, il che significa che i problemi di qualità dell’aria si estendono ben oltre le aree del versante occidentale della Cumbre Vieja direttamente interessate dall’eruzione. Infatti sull’altro versante, quello orientale, nonostante i 2.000 metri di altezza della dorsale, le autorità hanno dovuto in più occasioni invitare gli abitanti dei comuni di Santa Cruz de La Palma, Breña Alta e Breña Baja a non uscire di casa e, se necessario, a farlo indossando mascherine di protezione ffp2.
Persino a una distanza di varie decine di chilometri in linea d’aria, nel Roque de los Muchachos, il personale degli osservatori astronomici è dovuto rimanere confinato all’interno delle installazioni. Infatti i valori di concentrazione di anidride solforosa nell’aria, oltre i quali bisogna evitare di esporsi o bisogna adeguatamente proteggersi, sono di qualche centinaio di microgrammi per metro cubo. Il 15 novembre invece il valore massimo registrato come media oraria raggiungeva i 1.921 μg/m3.
Ma, terminata l’eruzione, i gas si disperderanno e l’aria tornerà normale. La lava e la cenere invece resteranno.
Sotto la cenere
In una eruzione vulcanica, oltre a gas, vapori, lava e altri materiali di dimensioni macroscopiche, vengono prodotte ed espulse anche piccolissime particelle di roccia e minerali. Per dimensioni inferiori ai 2 mm si parla comunemente di “cenere vulcanica”. La colonna di fumo che si innalza dalla bocca in eruzione è costituita principalmente da gas, vapori e da queste miniparticelle che, per la loro leggerezza, possono essere trasportate dai venti anche a grandi distanze prima di ricadere al suolo.
Le osservazioni e le misure effettuate in loco degli operatori dell’Istituto di Vulcanología delle Canarie (INVOLCAN) e le immagini e i dati forniti dal sistema satellitare europeo Copernicus hanno permesso di stimare in circa 10 milioni di metri cubi la quantità di ceneri espulse già solo nei primi 44 giorni di eruzione, dal 19 settembre al 1 novembre. Ceneri che hanno ricoperto un’area di oltre 30 km2 (quasi un ventesimo dell’intera superficie dell’isola) con spessori che vanno da pochi centimetri, come nel caso della pista dell’aeroporto e di molte strade e giardini, fino ai 60-80 centimetri accumulati su tetti e terrazze e addirittura ai 5-6 metri che hanno letteralmente sepolto gli edifici e la vegetazione delle zone più vicine al luogo dell’eruzione.
Finché l’attività eruttiva è in corso, le priorità sono quelle di proteggere alimenti, occhi e vie respiratorie, soprattutto dalle componenti più fini di questa cenere vulcanica. Ma è prioritario anche mantenere quotidianamente libere strade e tetti per garantire la circolazione e per evitare che l’accumulo di materiale possa ostruire canali e tubi di scarico e causare crolli a causa della grande capacità di assorbimento in caso di pioggia. Il Cabildo di La Palma (l’Amministrazione dell’isola) si sta avvalendo della collaborazione gratuita di una impresa locale che si occupa da 40 anni dell’estrazione di materiali da costruzione e che è anche autorizzata sia alla raccolta e allo stoccaggio di residui edilizi che al trattamento di ceneri vulcaniche. Per il momento è stata abilitata nel territorio del comune di El Paso una superficie di 3.500 metri quadrati dove potranno essere depositati fino a circa 70.000 metri cubi di materiale raccolto.
Sono perciò apparse nelle zone interessate un buon numero delle classiche vasche normalmente usate per la raccolta di detriti, per permettere a cittadini, volontari, pompieri e militari di depositarvi la cenere raccolta quotidianamente. Le quantità che vengono così raccolte e trasportate in discarica sono chiaramente poco significative rispetto al volume espulso dall’eruzione, ma in questa fase l’obiettivo primario è eliminare la cenere da dove potrebbe causare danni. Verrà però il momento, tornata la normalità, in cui bisognerà affrontare il problema di cosa fare con tutto questo materiale.
Sopra la cenere
Se non stessimo parlando di un’isola relativamente piccola (appena 3 volte l’isola d’Elba) e oltretutto situata in un arcipelago ultraperiferico, lo stoccaggio in cave non sarebbe in realtà una missione impossibile. Un milione di metri cubi è infatti il volume di una buca grande come quattro campi di calcio e profonda 30 metri, dimensioni tipiche di una cava di grandezza medio-piccola. Le soluzioni dovranno però essere altre, così come d’altronde è accaduto nel passato. Quella in corso è infatti solo l’ultima in ordine di tempo delle 14 eruzioni avvenute in epoca storica (gli ultimi 500 anni) nelle Isole Canarie. Il problema quindi non è certo nuovo.
Contrariamente però a quanto si potrebbe pensare, l’edilizia non sarà il principale destino di questo materiale.
Una parte, dopo una opportuna selezione e analisi chimica, potrà effettivamente essere utilizzata in alcuni processi di realizzazione di calcestruzzo e in opere civili. Di fatto nell’arcipelago è molto usato in edilizia il cosiddetto “bloque canario”, un classico blocchetto di cemento da costruzione che però non è fatto interamente di calcestruzzo ma contiene una parte di “picón”, termine con cui si indica l’aggregato arido granuloso, leggero al punto da galleggiare e buon isolante termico e acustico, formato dalle gocce di magma espulse durante millenni di eruzioni vulcaniche e che si trova quasi ovunque nella geografia canaria. Le Isole Canarie sono fatte di lapilli… e questi materiali sono usati regolarmente anche in giardini, strade, pavimentazioni, terreni o più semplicemente in riempimenti.
La vera limitazione è che gran parte di questa cenere presenta un alto potere di assorbimento, cosa non molto desiderata nei materiali da costruzione. Questo tipo di impiego si limiterà quindi solo alle eccedenze dell’uso principale che sarà quello agricolo, come sempre è stato. Le prime analisi da parte di ricercatori del Consejo Superiór de Investigación Cientificas (l’equivalente spagnolo del CNR italiano) indicano che si tratta di un materiale ricco di elementi fertilizzanti come calcio, magnesio, ferro e potassio. Si tratta di continuarne lo studio per capire in che modo e quantità questi elementi verrebbero trasferiti al terreno, e quindi alle piante, con le piogge e l’irrigazione.
Attraverso la cenere
Non bisogna comunque andare troppo lontano nello spazio e nel tempo per conoscere un esempio di come l’uso agricolo della cenere vulcanica abbia trasformato una tragedia in una risorsa che ha migliorato le sorti economiche di una comunità.
Tra il 1730 e il 1736 l’eruzione di Timanfaya nell’isola di Lanzarote seppellì completamente una decina di centri abitati, ricoprì di lava un quarto dell’isola e di cenere vulcanica le pianure limitrofe, distrusse totalmente le case del 15% degli abitanti e danneggiò quelle di un altro 14%. Buona parte della popolazione fu costretta ad abbandonare l’isola. Il nuovo paesaggio desolato del sud fu visto però nel tempo come una opportunità dagli abitanti rimasti. Un “enarenado” (in questo caso naturale) che ne cambiò le sorti.
Il “Diccionario básico de canarismos” della “Academia Canaria de la Lengua” dà la seguente definizione di “enarenado”: 1) sistema di coltivazione consistente nel ricoprire in modo permanente il terreno con uno strato di sabbia vulcanica per conservare l’umidità della terra; 2) campo ricoperto di sabbia vulcanica.
Prima dell’eruzione del Timanfaya, l’isola di Lanzarote era caratterizzata da un modello economico agropecuario finalizzato ad approvvigionare di cereali, bestiame, latticini, sale e pietra da calce le isole di Tenerife e La Palma, dove risiedevano i principali gruppi di potere dell’arcipelago e i cui terreni erano destinati alla più che redditizia produzione vinicola. La lava e soprattutto la cenere modificarono profondamente il paesaggio agricolo di Lanzarote, impedendo di fatto la continuità di questo modello economico e produttivo. Il manto di cenere però non fu rimosso ma utilizzato come un “enarenado” naturale che permise la coltivazione della vite e di alberi da frutto, cosa che cambiò per sempre le sorti dell’isola e dei suoi abitanti.
Nell’enarenado naturale il terreno viene preparato aprendo una fossa di poco più di un metro di profondità fino a raggiungere il suolo originario per poi piantare coltivazioni con apparati radicali profondi che riescano a penetrare lo strato di lapilli. La fossa viene quindi protetta controvento con un muretto per evitare che torni a riempirsi. Il manto di cenere vulcanica trattiene l’umidità, permette il passaggio dell’acqua che condensa durante la notte, funge da isolante termico e, in certa parte, da fertilizzante. Il successo fu tale che i contadini di Lanzarote ne fecero una vera e propria tecnica agricola, creando anche “enarenados” artificiali in altri luoghi dell’isola e finendo per esportarla anche nella vicina isola di Fuerteventura.
Il destino agricolo della cenere che sta ricoprendo La Palma dipenderà quindi soprattutto dalle caratteristiche chimico-fisiche che emergeranno dagli studi che si stanno conducendo.
Gianni Mainella