Byung Chul Han è un sudcoreano che insegna a Berlino, in una università centrata sull’arte, dove lui insegna filosofia.
Che sia un personaggio interessante non c’è dubbio alcuno.
Il suo libro intitolato le NON-COSE è di gran lunga la riflessione più brillante sulla situazione generale del mondo di oggi, pubblicata nel 2021.
Tutte le strade portano a Roma, si diceva un tempo.
Oggi, uno dei filosofi più letti al mondo, ci dice che tutti gli argomenti tormentone con cui spendiamo il nostro tempo appesi ai telefonini oscillando fra speranza, desolazione e rabbia, conducono ad un unico bottone rosso.
Il ruolo dell’informazione e, in particolare, dell’informazione digitalizzata.
Prima ancora del contenuto, il fulcro del problema è il modo in cui ci stanno educando a ricevere informazione e a metabolizzarla o meglio, a non metabolizzarla.
La velocità degli stimoli continui con cui saltiamo da una flash news a un’altra, l’impossibilità di un contatto fisico sia con i fatti che con i narratori di fatti, sta smaterializzando i nostri punti di riferimento per discernere la verità.
Sta atrofizzando la nostra abitudine a riflettere e scegliere, fra tante, la nostra verità.
Sta assorbendo il tempo necessario per produrre idee, sostituendolo con un costante allenamento all’attenzione e all’assorbimento rapido di una notizia dietro l’altra, dietro l’altra, dietro l’altra…
Un sistema di informazione che sostituisce l’efficacia alla verità.
La notizia deve essere impattante e lasciare velocemente il segno, molto prima e molto di più che essere strutturata su argomenti solidi.
Ciò che stiamo di fatto accettando senza volere, senza nemmeno accorgercene, è che la verità possa passare in secondo piano.
Se pensiamo all’origine dell’onda di follia che stiamo attraversando, il cuore di tutto è il ruolo nuovo, differente e ahimè irrisorio, degli strumenti di controllo dell’autenticità del mondo raccontato a una velocità superiore a quella delle riflessione, della ponderazione, della verifica, dell’opposizione.
La chiave del cambiamento improvviso del mondo può riassumersi nel passaggio fra produrre e possedere le informazioni, e consumare e rispecchiare le informazioni.
Ci stiamo abituando a una conoscenza del mondo che ci circonda che non richiede coerenza e continuità fra una brake news e l’altra.
In assenza del tempo per ancorare le parole alle cose, la narrazione ai fatti, senza accorgercene ci stiamo trasferendo in un pianeta surreale, in cui la realtà sembra il prodotto di una stampante 3D.
Una immensa macchina in regia che trasforma le informazioni digitalizzate in luoghi, persone, oggetti, con i quali popoliamo la nostra immagine del mondo.
Le persone culturalmente più semplici accettano di buon grado di trasformarsi in cose-recettori di informazioni, usano la pioggia di informazioni come un libretto di istruzioni di un elettrodomestico e “funzionano” in modo armonico con l’indirizzo di massa, senza grandi complicazioni.
Le persone che ancora si ancorano al senso critico, percepiscono principalmente una sensazione di frustrazione e impotenza.
Si ancorano alle abitudini dell’umanità pensante con la dolorosa sensazione di svanire come il sorriso del gatto di Alice.
In un mondo al contrario come quello di Lewis Carroll, l’informazione ha sostituito i fatti, la stigmatizzazione delle opinioni precede la formazione delle opinioni trasformando lentamente il suggerimento di assumere posizioni conformi a un sempre meno velato ordine di rinunciare senza clamore a essere difformi dalla linea del pacchetto unico dell’informazione liofilizzata.
Applicando questa riflessione a tutti i tormentoni della tempesta mediatica di allarmi e proclami degli ultimi anni, otteniamo la chiave di lettura del mondo che viene.
Un mondo che ha una sola via d’uscita: armonizzare le intenzioni di una progettazione informatica della realtà alla necessità di non smaterializzare l’essenza e le basi della persona umana che non si limita a divenire o succedere, deve necessariamente “ESSERE”, esprimersi e produrre in campo libero con tutti gli imprevisti e i rischi che questo comporta.
In sintesi, ciò che sostiene il filosofo coreano è che la programmazione non può e certamente non riuscirà a sostituire l’esistenza.
Claudia Maria Sini