Lo scorso mese di ottobre abbiamo parlato delle aritmie ipercinetiche dando qualche accenno a cos’è e come si genera un battito cardiaco normale; abbiamo detto che questo può essere definito come “la sequenza delle contrazioni del cuore che, alternandosi con le fasi di rilasciamento delle pareti ventricolari, garantisce la circolazione del sangue all’interno dei vasi sanguigni di tutto il corpo”. Abbiamo accennato alla differenza tra circolo polmonare e sistemico, alla distinzione tra contrazione atriale e ventricolare e a come vengono prodotti gli stimoli elettrici che inducono tali contrazioni. Abbiamo definito la funzione di pace maker del “nodo del seno” ed abbiamo anche detto come la frequenza cardiaca normale sia compresa tra 60 e 100 battiti al minuto.
Non ci resta ora che aggiungere alcuni elementi essenziali per comprendere, sia pur grossolanamente, un elettrocardiogramma (ECG). Nel tracciato normale possiamo riconoscere una serie di onde così definite: onda P che esprime la contrazione della parte alta del cuore (atrio destro e sinistro), complesso QRS che esprime la contrazione dei ventricoli e Fase di Ripolarizzazione Ventricolare (FRV) che possiamo considerare come la conclusione del singolo processo di attivazione elettrica del cuore. (Fig.1)
Sempre nel precedente articolo di LeggoTenerife, abbiamo sottolineato cosa debba intendersi per aritmia; abbiamo precisato che questa potrà essere distinta in ipercinetica o ipocinetica in relazione, rispettivamente, ad un aumento o ad una riduzione del numero dei battiti cardiaci nel minuto. In quella occasione abbiamo focalizzato l’attenzione sulle più frequenti forme ipercinetiche mentre oggi faremo un accenno a quelle a bassa frequenza che sono definite ipocinetiche.
Le “aritmie ipocinetiche” non sono certo meno importanti rispetto alle ipercinetiche in quanto possono anch’esse essere causa di morte improvvisa per arresto cardiaco.
Parlando di fibrillazione atriale abbiamo sottolineato l’importanza della frequenza cardiaca media (FCM) ed abbiamo detto come un suo eccessivo incremento potrebbe associarsi allo scompenso cardiaco; questo potrebbe, a sua volta, culminare nel drammatico quadro dell’edema polmonare acuto. Ebbene, onde evitare che ciò accada, spesso il paziente viene sottoposto a terapia con farmaci detti beta bloccanti che sono in grado di ridurre la frequenza di contrazione ventricolare. Attenzione però perché gli stessi, dosati in eccesso, potrebbero provocare un’eccessiva caduta della frequenza generando pericolose complicanze: potremmo allora trovarci di fronte ad una bradicardia che andrà definita come “iatrogena” cioè dovuta ad anomalo trattamento farmacologico.
Tra le aritmie a bassa frequenza sono da annoverare i BAV ossia i Blocchi Atri Ventricolari. Questa bradiaritmia è fondamentalmente caratterizzata dalla riduzione della velocità di conduzione dello stimolo elettrico che, generato dalle cellule del nodo del seno, è responsabile della contrazione cardiaca. Nel BAV di I° riscontriamo solo un allungamento, di differente entità, del tempo di conduzione dello stimolo attraverso gli atrii con evidenza, nel tracciato ECG, di un allontanamento dell’onda P dal complesso QRS. Senza entrare in particolari spiegazioni tecniche, accenno alla presenza di due varianti di BAV di II° in cui alcuni stimoli atriali non raggiungono i ventricoli determinandone la contrazione; maggiore enfasi va data al BAV di III° che, operando attraverso un blocco completo del passaggio degli stimoli atriali ai ventricoli, può generare un arresto cardiaco.
A questo punto è forse necessario un ulteriore approfondimento su cos’è il nodo atrio ventricolare: è un’area presente nella zona centrale del cuore capace di regolare il flusso degli stimoli elettrici provenienti dagli atrii e diretti ai ventricoli: è quindi una sorta di struttura filtrante degli stessi.
Nella condizione di BAV di III°, di solito ad insorgenza improvvisa, tutti gli stimoli atriali sono bloccati dal suddetto nodo AV e l’unica possibilità di sopravvivenza per il paziente è legata all’insorgenza di un focus extrasistolico ventricolare che, attraverso un anomalo ma provvidenziale ritmo idioventricolare a bassa frequenza, consente al paziente di sopravvivere fino all’impianto di un pace maker esterno.
In tal caso, all’ECG notiamo la presenza di onde P regolarmente prodotte ma non condotte ai ventricoli e la comparsa di onde di contrazione ventricolare (QRS) allargate ed a frequenza molto bassa che in genere è minore di 40 battiti al minuto. (Fig.2)
Non rientrano nelle aritmie ipocinetiche il BBDx ed il BBS che non producono obbligatoriamente una riduzione del numero dei battiti cardiaci al minuto.
Un accenno particolare va fatto alla malattia del nodo del seno che può essere causa di episodi alternati di bradicardia e tachicardia definita come Sindrome bradi tachi anch’essa molto rischiosa per la vita del paziente.
In tutte le aritmie ipocinetiche è indispensabile verificare la presenza di eventuali GAP ossia di una brusca riduzione della frequenza cardiaca che generi l’assenza del battito per un periodo superiore ai 2,5 secondi. In tal caso potremmo parlare di arresto temporaneo del battito, prodromico di un arresto definitivo.
Qualsiasi aritmia, a bassa o alta frequenza, benché possa decorrere in modo asintomatico, può dare segno di sé attraverso manifestazioni cliniche di differente entità che vanno dal banale sbandamento alla perdita di coscienza.
Analogamente al caso delle aritmie ipercinetiche, anche in quelle a bassa frequenza la diagnosi viene posta attraverso un’accurata anamnesi da parte del medico, eseguendo un ECG di base e soprattutto attraverso l’analisi di un tracciato ECG Holter delle 24 o 48 ore.
Sospettare prima ed identificare poi un’aritmia potrebbe voler dire, oltre che gestire la sintomatologia con miglioramento delle condizioni generali, allungare la vita del paziente riducendo il rischio di morte improvvisa. Tutto ciò sarà reso più semplice dalla presenza di sintomi riferiti dal paziente mentre, quando il disturbo fosse asintomatico, potrebbe essere identificato solo durante una visita medica o con l’esecuzione di un elettrocardiogramma di controllo; a volte la ricerca potrebbe essere resa difficile dalla incostanza dell’aritmia e, magari, dalla sua insorgenza solo durante le ore di sonno.
Ancora una volta, l’invito al paziente è quello di sottoporsi periodicamente a visita clinica anche se asintomatico. Durante tale controllo sarà necessario che il Medico raccolga un’accurata anamnesi e possa eseguire un elettrocardiogramma di base per riscontrare l’eventuale presenza di alterazioni predittive di una possibile grave aritmia. Laddove lo ritenesse utile, potrebbe sottoporre il paziente ad un ECG Holter di 24 o 48 ore per meglio definire l’andamento del ritmo cardiaco nella sua quotidianità.
dott. Mauro Marchetti