Questa nuova era glaciale della democrazia è giunta a piena maturazione.
Le dinamiche sono uguali ovunque ma ciò che accade in Sardegna è come un modellino, un prototipo per capire come la nuova elite dirigente intende comportarsi ovunque e con chiunque.
La chiamano la guerra dell’eolico ma in guerra si spara in due, è piuttosto un’esecuzione capitale: uno è armato, l’altro bendato con le mani legate.
Vediamo cosa succede.
Dati alla mano dalla pagina ufficiale della Regione Sardegna, la Sardegna consuma 2/3 dell’energia che produce e ne esporta 1/3.
Poco più della metà della produzione proviene da fonti rinnovabili.
Se solo producesse unicamente per uso interno e utilizzasse i 38 bacini muniti di diga di cui dispone – per produrre energia idroelettrica – non servirebbe impiantare nemmeno UNA pala eolica.
Nemmeno UNA.
Il punto forte dell’energia ottenuta da fonte rinnovabile è che sul territorio in cui si installano le centrali, dopo, si può cambiare idea e fare qualcosa d’altro.
Il punto debole delle pale eoliche, per citarne uno solo, è la base fatta di centinaia di tonnellate di cemento armato, che cancella dal mappamondo per sempre pascoli e campi coltivati.
Usiamo numeri puri senza unità di misura per fare uno schizzo: il fabbisogno energetico dell’isola ha un valore di poco meno di 2, il target fissato dall’UE per l’installazione obbligatoria di pale eoliche è di un minimo di 6, dai documenti forniti dalla fortunata ditta appaltatrice del business più alla moda fra i padroni del mondo, emerge una richiesta di concessioni per una produzione di 60, forte del fatto che il minimo è stabilito ma il massimo no, consentendo, al prezzo di un politico corruttibile, un’invasione illimitata del territorio perfettamente legale.
La polizia in assetto da sommossa è già stanziata sul territorio, casomai qualcuno avesse illusioni che bisogna ridimensionare senza salamelecchi.
Poiché le cattive abitudini hanno radici antiche, sul territorio isolano si trova già un quarto di tutte le centrali a carbone d’Italia.
Allora perché nelle statistiche dell’Osservatorio nazionale sull’energia la Sardegna svetta al primo posto per il costo insostenibile delle bollette?
Può la regione che fornisce quasi la metà dell’energia necessaria alle altre, pagare ciò che vende più caro di tutti?
Abbandonando l’ingenuo argomento del risarcimento danni per i campi, le spiagge, i pascoli perduti… mi limito alla domanda che farebbe un bimbo: i soldi della vendita… dove vanno?
In Sardegna no, nemmeno un euro.
E’ abbastanza importante saperlo perché nessuna forma di risarcimento è contemplata per un’isola che vive di turismo, pastorizia e agricoltura e si prepara a un futuro senza spiagge, né campi né pascoli, per una distruzione questa volta sì, irreversibile.
I giganti privati che controllano l’UE sono compratori di diritti e lo Stato si è ridotto a un venditore di diritti, benché la costituzione non glieli metta a disposizione.
Nel silenzio complice di quella cosa brutta, scivolosa e senza nerbo, che ci ostiniamo a chiamare pubblica informazione, l’altro ieri donne anziane abbracciate fra loro come i bambini in una notte di tuoni, hanno affrontato gli scudi della polizia che le scacciava dai loro campi, dai loro sentieri, dalla loro vita, ma i poliziotti non si sono fermati.
C’era davvero una notizia da dare più importante di questa?
Quando ridussero la Grecia in ginocchio, siamo stati a guardare, non ci fu nessun Hemingway che andò a sacrificarsi o a raccontare la verità sull’accaduto.
L’egoismo è un lusso che non possiamo permetterci più da tanto perché il mondo è ormai un cortile unico e la felicità e la stessa sopravvivenza delle persone comuni la si pesa un tanto al chilo, senza paura delle conseguenze.
Il criterio di disumanità è il jolly che si sta giocando su tutti i tavoli allo stesso tempo.
Non si potrà mai più coltivare o pascolare bestiame?
La carne sintetica è lì che aspetta un mercato facile, senza concorrenza e la polizia si sposta svelta da una regione all’altra.
Questi disboscatori imbecilli, come direbbe Prevert, continueranno a cantare e a fare la parata davanti ai monumenti dei loro orrori e se un giorno benedetto si fermeranno, non sarà perché lo hanno deciso da soli o si sono stancati.
Hanno deciso che non serve più bussare, non serve più fingere di avere l’approvazione del popolo, hanno deciso che è arrivato il tempo di prendere ciò che vogliono, quando vogliono, senza foglia di fico, con il mero esercizio della forza.
Poiché è di folli che parliamo, nessuna contrattazione ci porterà alla soluzione.
E’ arrivato il momento di perdere qualcosa e di perdere qualcuno, perché l’alternativa, questa volta sì, è perdere tutto.
Claudia Maria Sini