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    La solitudine degli adolescenti: questa è una preoccupante epidemia

    Le nuove tecnologie e i social network hanno sostituito la strada, la conversazione e il contatto umano come forme di relazione. 

    Gli adolescenti sono più soli degli anziani.

    L’era della comunicazione è diventata l’era dell’isolamento. 

    La solitudine imposta, con il carico di sofferenza e malattia che comporta, è diventata un problema molto più grave per i giovani che per i loro nonni. 

    Ci sono già più adolescenti e giovani chiusi in camera, annoiati davanti allo schermo di un computer, che anziani abbandonati a se stessi davanti alla televisione. 

    Le nuove tecnologie e i social network hanno sostituito la strada, la conversazione e il contatto umano come forme di relazione. 

    I sorrisi su Instagram e TikTok non sono così aperti e sinceri come sembrano essere sui cellulari. 

    Questa è la realtà, e i ragazzi ne stanno pagando le conseguenze con la loro salute.


    Fino a poco fa, la solitudine dei giovani e degli adolescenti era un sospetto di cui si discuteva nei forum professionali di psichiatria e psicologia. 

    Ma è diventata una realtà con dati che impongono, quantomeno, una riflessione sociale. 

    Cosa sta succedendo? 

    Un recente studio promosso dalla Fondazione ONCE in collaborazione con l’organizzazione Ayuda en Acción afferma che un giovane su quattro tra i 16 e i 29 anni (25,5%) dichiara di sentirsi solo.

    Se questo dato non vi sembra sufficiente a farvi rabbrividire, leggete quanto segue: tre su quattro, il 75,8%, dichiara di soffrire di solitudine indesiderata da più di un anno; e quasi la metà dei giovani, il 45,7%, prova la stessa sensazione da… tre anni! tre anni!

    Circa 1.800 giovani hanno partecipato allo studio che è giunto a queste conclusioni, che non si è limitato alla classica indagine. 

    “È curioso notare che viviamo in una società che invecchia e si sente sola, e che coloro che mostrano un maggior grado di solitudine non sono proprio gli anziani, ma i giovani”, riflette Natalia Ojeda, docente di neuropsicologia all’Università di Deusto e presidente dell’Associazione internazionale di neuropsicologia. 

    “Nonostante il fatto che presumibilmente abbiano tutto (soprattutto la libertà) e siano più connessi che mai, si sentono soli”. 

    Perché? Per una cosa tanto semplice (e forse tanto complessa) e legata alla condizione umana come il fatto che le persone, per il loro benessere emotivo, hanno bisogno di relazioni. 

    “La sensazione di compagnia e di sentirsi a proprio agio con gli altri non deriva necessariamente dalle relazioni che si intrecciano attraverso internet”.

    Uno schermo e un mouse non sono sufficienti per costruire la fiducia, la cordialità, il rispetto e, cosa molto importante, l’affetto necessari per creare un rapporto di amicizia. 

    Sebbene i social network, secondo una ricerca pubblicata di recente, non siano la causa determinante della solitudine dei giovani, è in gran parte la presenza faccia a faccia che si è persa con essi, e ciò che è importante è vedere i volti degli altri per davvero.

    Nella complicità necessaria per la creazione di un rapporto di amicizia – come in una coppia -, le parole non sono l’unica cosa che conta, a prescindere dalla quantità di video e audio condivisi. 

    Oltre all’impegno, naturalmente, il gesto, l’intonazione, lo sguardo che lo accompagna, l’ascolto attento, le reazioni che ogni momento suscita… lo pesano e lo arricchiscono. 

    In breve, il calore umano, la vita vissuta.

    Le carenze che portano alla solitudine indesiderata dei giovani e degli adolescenti non hanno nulla a che vedere con le relazioni familiari, gli studi o l’ambiente di lavoro. 

    Ciò che manca loro sono gli amici veri, in carne e ossa, e non quelli virtuali, che invece hanno in abbondanza. 

    “Parte della psicoterapia odierna mira a insegnare ai giovani a lasciare le reti virtuali e a uscire in strada, ad affrontare la vita reale per iniziare a relazionarsi con i loro coetanei”.

    Non scendere in strada per bere fino ad ubriacarsi per non pensare a nulla, non scendere in strada per assumere sostanze che non fanno né pensare né vivere… non scendere in strada per andare a fare del “casino” in discoteca che però non ti fa conoscere gente nuova.

    Bullismo 

    I giovani vittime di bullismo a scuola o sul lavoro hanno il 37,2% di probabilità in più di sentirsi soli. 

    Una volta non si chiamava “bullismo”, ma scherzi o prese in giro più o meno pesanti fra coetanei o compagni di scuola e di giochi, si lasciava che “se la sbrigassero fra di loro” adesso no, o escono i coltelli o escono le denunce!

    Nei comuni di grandi e medie dimensioni (oltre i 50.000 abitanti) soffrono maggiormente di solitudine rispetto alle aree rurali.

    Nelle aeree rurali, in campagna come dicevamo fino a 30 anni fa, si sta di più fuori, sulla terra, c’è più confronto (se non perché non c’è scelta) fra persone, e c’è o c’era più fiducia nel prossimo o nel vicino.

    Il bullismo a scuola o al lavoro, di cui si lamenta il 37,2% dei giovani, e la salute mentale, presente sotto forma di ansia e depressione (nella maggior parte dei casi percepita, non diagnosticata) nell’89,2% degli intervistati, spiegano la mancanza di comunicazione che li affligge. 

    Mancanza di comunicazione che porta al “non sapere, non conoscere” quello che ti circonda (il mondo).

    Bina Bianchini

     

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