La riflessione di oggi collega una battuta infelice di un giudice di X Factor e l’autobiografia di un aristocratico austriaco ebreo nato a fine dell’800.
Il primo, è cresciuto nei quartieri bassi di una metropoli del Nord Italia, riempie gli stadi con un rap non totalmente privo di spunti credibili, è terribilmente volgare ma non è una cattiva persona.
Con l’innocenza che è appannaggio dell’ignoranza vera, quella che si struttura in un corpus di convinzioni alternative che reimpostano le colonne d’Ercole e cancella l’orizzonte delle cose conosciute, ha spiegato a una concorrente di grandissimo talento ed eleganza, che le case discografiche preferiscono produrre personaggi stridenti e non visti.
Detto questo con parole molto affettuose ed educate le ha spiegato che per fare il cantante il talento e lo studio non sono ciò che serve per diventare cantante.
Ecco qua.
Il secondo, iniziò la sua vita nella Vienna degli imperatori, del valzer e del principe schiaccianoci, per ben tre volte perse tutto e ricominciò da zero in paesi e in contesti politici diversi nel corso del ‘900.
La sua bella biografia s’intitola “Il mondo di ieri” ed è considerata un capolavoro perché Stefan Zweig, il suo autore, è il simbolo di chi non trasforma l’amore per i tesori del passato in un patetico amarcord privo di curiosità per il nuovo.
Personalmente non condivido il punto di vista della casa editrice che lo pubblica cercando paralleli fra gli anni venti del ‘900 e gli anni venti del 2000.
Non sono d’accordo onestamente, che vi siano paralleli fra le guerre combattute fra simili per spartirsi cose che entrambi volevano, e quella in corso oggi, che è un’unica grande guerra a senso unico in cui creature disumane fanno terra bruciata dello spazio necessario per esprimere sentimenti umani.
E’ diverso, è molto diverso.
Tuttavia, il parallelo fra i due vi offre una riflessione a mio avviso valida e interessante.
La Vienna del bimbo Zweig era ancora la Vienna imperiale, i giovani venivano silenziati da un sistema scolastico rigidissimo e iniziavano a essere interessanti quando avevano qualche filo grigio nella barba, però si formavano in una società in cui il Colosseo, lo strumento dell’Imperatore per tenere tutti occupati e contenti e per unire il corpo sociale, ricchi e poveri, attorno a valori comuni, era il teatro comunale dove il massimo e il meglio della cultura internazionale era alla portata di notai e camerieri.
Costruiva menti funzionanti e di qualità.
La Bauhaus di Walter Gropius che nel 1919 fu considerata un covo di figli dei fiori dai conservatori, ma il frutto di quella contestazione ci diede Paul Klee, Kandisky, e poi Gustav Klimt, Strauss, e fuori Vienna il futurismo, le transavanguardie, gli impressionisti in Francia…
Gli ultimi botti prima dell’appiattimento della creatività dentro gli schermi della televisione sull’onda di qualche guizzo della pop art.
A cosa assistiamo oggi?
A una dichiarazione di obbedienza alle leggi del mercato, alla censura prima della censura.
Ciò che non si vende è ciò che i giganti del mercato dell’informazione di massa non permettono che venga proposto alla vendita.
Quando i funzionari di partito prendevano atto che l’esistenza di un libro era una seccatura e lo bruciavano, era meglio.
Il libro faceva in tempo ad accendere il suo piccolo fuoco e poi la sua scomparsa creava reazioni, reazioni e rivoluzioni.
Oggi, non solo si blocca a monte la mera possibilità di essere POI censurato a ciò che non è funzionale agli interessi dei padroni del mondo, ma la cosa che fa rabbrividire è che i suoi menestrelli sono rapper tatuati dalla testa ai piedi, rocker con i capelli fino al sedere e i pantaloni di pelle, idoli dei giovani con il viso tatuato con i simboli della morte e della libertà…
Ma non sono queste le sembianze di chi dovrebbe avventarsi contro il potere e farsi molto molto male pur di fare una breccia per fare posto al nuovo, al fresco, al diverso?
Ecco questa è la riflessione che voglio proporre oggi.
Un metro di misura per sentire sotto la pelle fino a che punto il capovolgimento ontologico sia compiuto e si debbano ripensare i significati originali delle parole, dei gesti, dei simboli e dei valori, è che vale la pena di confrontare il pensiero di un austriaco aristocratico e quello di un rapper con il collanone da pitbull, ma per scoprire che il senso vitale della rivoluzione e della forza creativa di un mondo nuovo è tutto nel primo, mentre nel secondo c’è l’appiattimento consenziente all’orizzonte chiuso del mercato che decide quali cose tutte uguali offrire, certo che comunque sceglieremo, non trovando negli spunti “culturali” a nostra disposizione niente di utile per creare, sognare, proporre, niente di utile per disturbare, il quieto scorrere di decisioni già prese.
Claudia Maria Sini