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    Il lato oscuro della tecnologia

    La mattina del 17 settembre i cercapersone di migliaia di combattenti del partito religioso Hezbollah stanziati in Libano squillarono contemporaneamente e alcuni secondi dopo, mentre i militanti rivolgevano lo sguardo allo schermo per leggervi il messaggio, i dispositivi esplosero uccidendoli, o maciullandogli le mani e accecandoli per sempre. 

    Appena sei mesi prima di quella micidiale serie di esplosioni il comandante di Hezbollah, Hassan Nasrallah, aveva ordinato ai suoi attivisti e alle loro famiglie di abbandonare i telefoni cellulari, considerati più facilmente localizzabili da Israele per compiere uccisioni mirate, e di preferire i cercapersone, la cui tecnologia era ritenuta meno infiltrabile proprio perché antiquata… ma Nasrallah non aveva inserito nella sua equazione il fattore del Mossad, il servizio segreto israeliano regista dell’operazione. 

    Il giorno dopo a esplodere nelle mani di altri combattenti del partito sciita furono migliaia di radiotelefoni, preferiti per lo stesso motivo: l’indipendenza da internet e quindi la loro più ostica tracciabilità. 

    Le esplosioni simultanee dei cercapersone e dei radiotelefoni che il 17 e 18 settembre uccisero o mutilarono gravemente i militanti di Hezbollah, l’uccisione di Nasrallah nel suo sotterraneo blindato a Beirut pochi giorni dopo durante un bombardamento israeliano impressionante non solo per la potenza, ma anche per la conoscenza esatta del luogo in egli si trovava in quel preciso momento, e la successiva morte in un altro bombardamento del suo cugino e successore in pectore Safi al-Din, hanno colpito il partito sciita non solo materialmente ma anche psicologicamente, seminando fra i suoi militanti il terribile dubbio di essere profondamente infiltrati e spiati e la certezza della capacità delle tecnologie avversarie di localizzare e uccidere ovunque i loro dirigenti e i rispettivi sostituti designati. 

    Una prima riflessione che possiamo trarre da questi eventi è l’impressionante ventaglio di “opportunità creative” che la tecnologia mette a disposizione non solo di terroristi e delinquenti, ma anche degli Stati e dei loro servizi segreti: qualsiasi oggetto di uso quotidiano, anche il più abituale e insospettato compagno delle nostre giornate, può trasformarsi improvvisamente in uno strumento perfidamente utilizzabile per spiare il possessore o persino per ucciderlo. 

    Fra le tante meraviglie suggerite dalla tecnologia (spegnere e accendere da remoto le luci di casa o gli elettrodomestici, o vedere durante un viaggio cosa sta avvenendo nella nostra abitazione), presentate come comodità ma in realtà preoccupanti per il rischio di interferenze e abusi che comportano, in questi giorni ascolto spesso nella mia emittente radio spagnola abituale la martellante pubblicità, snocciolata suadentemente da una disinvolta voce femminile, di una non meglio descritta “serratura intelligente” con cui equipaggiare la porta di casa in sostituzione della chiave, che – cito testualmente dal portale web dell’azienda – “potrà essere aperta da remoto ai pompieri e alle ambulanze”… splendida e protettrice tecnologia, se e quando fossimo assolutamente certi che nessun pirata informatico potrà appropriarsi del codice per “aprire da remoto” la nostra porta di casa: credersi al sicuro grazie alla “serratura intelligente” e trovarsi l’abitazione saccheggiata, o svegliarsi di notte con in camera da letto 3 o 4 criminali decisi a spassarsela crudelmente, sarebbero eccellenti copioni per dei film del terrore.

    Le esplosioni dei cercapersone in Libano hanno fatto scattare molti allarmi; ad esempio è del 23 settembre – meno di una settimana dopo quegli eventi – la proposta della ministra statunitense del commercio, Gina Raimondo, di vietare le importazioni di componenti automobilistici cinesi perché (parole sue) “non ci vuole molta intelligenza per capire che un’entità straniera ostile, capace di maneggiare telecamere, microfoni, tracciamenti GPS e altre tecnologie operanti in internet, potrebbe mettere in grave pericolo la sicurezza nazionale e la vita privata dei cittadini statunitensi”; infatti, argomentava ancora Raimondo, questo soggetto estero ostile potrebbe con software occulti assumere il controllo di veicoli circolanti nelle strade degli Stati Uniti, i quali dunque devono proteggersi mettendo al bando le automobili, i camion e gli autobus equipaggiati con componenti cinesi o russi, anche se assemblati nel territorio nazionale, che al momento opportuno potrebbero trasformarsi in malevoli strumenti di sabotaggio o spionaggio; e Raimondo parlava con cognizione di causa, perché quando nelle prime settimane dell’avanzata in Ucraina i russi vi si impossessarono di una quantità di trattori John Deere, il fabbricante immediatamente li disabilitò con un comando lanciato attraverso l’Oceano Atlantico. 

    L’ipotesi di un conflitto aperto tra gli Stati Uniti e la Cina, che aspira a prenderne il posto come potenza egemone mondiale, e tra i rispettivi Paesi satelliti, è ben presente nelle menti di tutti i governi, e seminare caos e disorientamento tra la popolazione nemica togliendole repentinamente i riferimenti esistenziali a cui è assuefatta sarà una delle armi del conflitto che prima o poi deciderà il nuovo assetto mondiale, ben sapendo che più un’organizzazione sociale è sofisticata e complessa – e internet e i suoi utilizzi sono l’espressione più emblematica di questa sofisticazione – più essa è vulnerabile, perché l’inceppamento di una sola rotella del delicato meccanismo determina a catena il blocco degli altri gangli vitali interdipendenti e infine la paralisi totale del sistema. 


    Immaginiamo il caos sociale e il disorientamento che immediatamente si diffonderebbero se in una prossima guerra planetaria la distruzione dei satelliti orbitanti sulle nostre teste spegnesse improvvisamente internet oscurando non solo il nostro adorato mondo virtuale e impedendo l’invio dei messaggini a cui corre continuamente il nostro occhio, ma per dirne solo una anche i pagamenti e i prelievi di denaro dai bancomat… io ho avuto la fortuna di trascorrere i primi anni della mia vita in un mondo in cui tutte le stupefacenti realtà di oggi erano solo utopie dei romanzi di fantascienza, e so con certezza, per averlo sperimentato, che si può vivere anche senza queste meraviglie, come del resto l’umanità aveva già vissuto per millenni prima di me… ma come reagirebbe chi fin dal primo vagito ha respirato solo l’inebriante e abbacinante fantasmagoria tecnologica…? 

    Una ragazza nata dopo l’avvento della nuova era mi ha raccontato che da bambina, durante un’improvvisa interruzione della corrente elettrica, temette istintivamente per qualche secondo di panico che anche lei si sarebbe spenta come internet e il computer che stava maneggiando.

    Si profila dunque l’erezione di rigide muraglie tra le tecnologie provenienti da Paesi considerati “amici” o “nemici”; la Cina, ad esempio, ha vietato ai funzionari statali, ai politici ed a chiunque risieda in aree del Paese ritenute “sensibili” l’uso delle automobili elettriche Tesla, sospettate di contenere software spia. 

    In questo campo la vicenda italiana dei pneumatici Pirelli è un esempio emblematico, sebbene poco noto, di questo nuovo protezionismo non più solo economico ma anche tecnologico e giuridico: nel 2015 l’azienda cinese Sinochem acquisì una quota di maggioranza dello storico marchio italiano, da tempo in affanno come altre importanti aziende nazionali da Alitalia a Telecom, e gli investitori esteri portatori di capitali freschi erano i benvenuti; inoltre quelli erano gli anni d’oro del disgelo dei rapporti con la Cina, simbolizzato dal suo progetto della “Nuova Via della Seta”, entusiasticamente accolto dal governo italiano di allora. 

    In sintesi, dopo l’acquisizione cinese il controllo di Pirelli era ripartito tra i due soci di riferimento firmatari del patto parasociale: la Marco Polo International Italy, propaggine italiana di Sinochem, con il 37,01%, e la finanziaria Camfin di Tronchetti Provera con il 14,01%. 

    L’atmosfera si rannuvolò sotto i governi italiani successivi e divenne ancora meno cordiale dopo lo scoppio del conflitto in Ucraina e la nuova intesa tra Russia e Cina, entrambe considerate avversarie se non addirittura nemiche: ispirandosi al Regolamento 452 dell’Unione Europea, che già nel 2019 aveva notevolmente ampliato l’elenco dei settori in cui sono limitabili le facoltà di investitori extracomunitari ritenuti potenzialmente pregiudizievoli per la sicurezza nazionale, anche il governo italiano aveva rafforzato il proprio golden power, ossia il potere di veto dello Stato sulle iniziative dei soci esteri di aziende italiane considerate strategiche, estendendolo dai tradizionali ambiti delle infrastrutture e della difesa anche agli alimenti, alla finanza e ad altri settori ritenuti nodali. 

    L’occasione di passare dalla teoria alla pratica si presentò a maggio 2023, mese di scadenza del patto parasociale tra il socio cinese di maggioranza relativa di Pirelli e quello italiano: le modifiche chieste da Sinochem, ligia al governo di Pechino, che ne avrebbero rafforzato il peso nelle decisioni strategiche, allarmarono il governo italiano, che il mese dopo si avvalse dei poteri speciali del golden power per escludere Sinochem dalla stanza dei bottoni riscrivendo le clausole basilari del patto parasociale: requisito della cittadinanza italiana dell’amministratore delegato, istituzione di una gravosa maggioranza dell’80% per approvare delibere contrarie alle proposte di Camfin in materia di investimenti strategici e di nomine e revoche di dirigenti, conferimento al socio italiano di poteri decisionali prevalenti e sua facoltà di imporre i propri rappresentanti nelle nomine degli organi delegati. 

    Nel comunicato stampa che riporto qui sotto il governo italiano motivava questa marcata intrusione nella gestione dell’azienda con il possibile inserimento negli pneumatici Pirelli di sensori capaci “…di raccogliere dati del veicolo riguardanti, tra l’altro, gli assetti viari, la geolocalizzazione e lo stato delle infrastrutture. 

    Le informazioni così raccolte possono essere trasmesse a sistemi di elaborazione cloud e super calcolatori per la creazione, tramite intelligenza artificiale, di complessi modelli digitali utilizzabili in sistemi all’avanguardia come Smart city e digital twin. 

    La rilevanza di questa tecnologia Cyber è individuabile in una pluralità di settori: automazione industriale, machine to machine communication, machine learning, manifattura avanzata, intelligenza artificiale, tecnologie critiche per la sensoristica e attuatori, Big Data e Analitycs“. 

    Tradotto dagli anglicismi tecnoburocratici: potrebbero finire in mani ostili le informazioni su infrastrutture nazionali cruciali, raccolte durante i nostri ignari spostamenti da sensori inseriti negli pneumatici Pirelli della nostra automobile inconsapevolmente trasformata in spia cinese. 

    Il messaggio lanciato dalla presenza dilagante della tecnologia nella lotta sempre più accanita per definire i nuovi assetti planetari è inequivocabile: dovremo abituarci a questi interventi a gamba tesa dei governi, che diverranno sempre più frequenti e invadenti.

    Chiudo queste riflessioni sul lato oscuro della tecnologia con una novità tragicomica di cui ho sentito parlare recentemente: un anello, anche questo convenientemente denominato “intelligente” come la serratura di cui parlavo, lanciato da una nota multinazionale coreana che ha subito trovato imitatori. 

    All’apparenza è un disadorno e bruttino cerchietto di metallo un po’ più alto dell’usuale (ma dopo un po’ sicuramente ne commercializzeranno un altro modello impreziosito, più costoso e probabilmente già progettato, con cui sostituire la prima versione di assuefazione lanciata a prezzo abbordabile), però nelle immagini pubblicitarie si nota nel lato interno a contatto con la pelle una serie di ammalianti lucette e sensori. 

    E a che serve questa meraviglia…? 

    Ho ascoltato in una TV pubblica spagnola l’esponente di una ditta distributrice che lo spiegava: a gestire il nostro telefonino (ma non ha chiarito in che modo la gestione tramite il magico anello differisca dall’ordinaria) ed a monitorare la nostra condizione fisica e il sonno, sulla cui qualità l’anello ci riferirà il mattino successivo (sto reprimendo a fatica una risata amara: ma per sapere come mi sento, e se ho dormito bene o male, devo chiederlo all’anello “intelligente”…?!?); e per una maggiore efficacia, sorrideva ammaliante la suadente propagandista, è bene indossarlo continuativamente 24 ore al giorno… ma naturalmente! così dopo un paio di settimane l’assuefazione si sarà ben radicata, l’ennesima abdicazione alle proprie facoltà di giudizio cedute a una macchina sarà completa e l’incauto e imbambolato portatore si sentirà nudo se non lo portasse sempre al dito. 

    Non credo però che la pubblicità – che prevedo martellante – di questa nuova inutilità mi persuaderà all’acquisto: mi mette a disagio il pensiero di essere monitorato (o peggio…) perfino durante il sonno, né ho voglia di diventare tossicodipendente di un ennesimo allucinogeno tecnologico che appena svegliatomi esiga da me sguardi ansiosi addirittura da sotto il lenzuolo, scalzando il già troppo invadente telefonino dal trono del primo interesse mattutino.

    Francesco D’Alessandro

     

     

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