La scuola italiana, così come il nostro paese, non vive un gran momento.
Ragazzi che riescono ad essere interessanti solo come consumatori, nell’età più delicata e difficile della loro vita, finiscono sui giornali etichettati come bulli, sempre più spesso. Sono ragazzi che vogliono far paura per non ammettere soprattutto davanti a se stessi, di essere confusi e aver paura.
Pubblichiamo l’esito di un mese di ascolto dei genitori a Tenerife riguardo all’argomento scuola. Chi non fosse stato raggiunto e desiderasse intervenire, è il benvenuto.
I più piccoli, superato lo shock iniziale, pare stiano benissimo, sia nella pubblica che nella privata. In entrambe più vivacità e più responsabilizzazione, i genitori sembrano apprezzare soprattutto la maggiore modernità e gerarchie meno rigide.
Laura: “I bambini vanno volentieri a scuola, compagni e maestri fanno a gara per aiutarli a integrarsi, lo scoglio linguistico è stato superato in fretta”.
Ennio: “Nell’insieme pare emergere una scuola come luogo dove imparare a stare con gli altri e a usare il mondo, ottima accoglienza, molto soddisfatti”.
Il dato del Sud, sui piccoli, pare essere uniforme.
Per gli adolescenti è tutto più complesso.
Della pubblica si lamenta l’assenza di un serio programma di integrazione e troppa rilassatezza.
I genitori dei ragazzi più dotati lamentano una preparazione inferiore alla scuola italiana attutita da un maggiore rispetto per la persona-allievo. Il filtro del tutor è sofferto. Amiamo guardare in faccia chi ha in mano i nostri figli.
La semiprivata è un poco più serrata nei sistemi e nei programmi, ma Cristina, madre di due ragazzi, trova che resti comunque una scuola molto basica, che non offra strumenti a quei ragazzi che volessero “volare alto” per sviluppare ogni potenzialità. Trovano amici e non stanno male, ma mancano gli stimoli e i più dotati pagano il prezzo più alto. “Con tutte le sue pecche e il suo accademismo un po’ sterile, quella italiana offre basi culturali più strutturate”.
Il collegio alemanno pare offrire il panorama più simile alla scuola italiana, alla fine, tutto dipende dalla sezione dove si capita e dal docente. E’ certamente la scuola su cui abbiamo sentito pareri più discordanti. Stelle e stalle, molti diversi livelli dentro la stessa scuola.
La disciplina rigida del quotatissimo collegio privato spagnolo, sembra un po’ meno agghiacciante che negli opuscoli di presentazione, in cui l’espressione “falta grave” ricorre con una frequenza che ricorda l’addestramento dei marines. Tuttavia è la mensa, non il rigore, la bestia nera per gli italiani e prende qualche punto in più l’attenzione per gli stranieri.
La scuola internazionale inglese infine, somma pragmatismo e meritocrazia, all’assenza di interesse per ciò che non è puro british.
Monica, madre di una ragazza di 17 anni, trova che l’insegnamento della responsabilità e dell’onestà intellettuale sia un valore aggiunto che bilancia l’assenza di quell’umanesimo di cui noi andiamo fieri, forse a ragione. L’onesta possibilità di eccellere solo in base al proprio merito, pare sia la garanzia più apprezzata.
Il limite, molto inglese, pare essere lo staccare i cuccioli dalla mamma molto presto, interpretato da alcuni genitori come assenza di interesse per la storia emotiva dei ragazzi che valgono, a ben vedere, quanto i voti che prendono.
Infine essendo una scuola internazionale per scelta, non dispone dell’alibi di essere stata invasa dagli stranieri. Affronta la varietà dei suoi allievi limitandosi a valutare ognuno, quanto il voto che prende.
E’ ciò che farà poi il mondo, a ben vedere.
Gli italiani si portano spaghetti e polpette in mensa, e stanno al gioco.
Il mese prossimo, il punto di vista delle istituzioni scolastiche, che fanno i conti con la nostra invasione che, nel bene e nel male, ha cambiato i connotati di un’isola e non può essere passata inosservata.
di Claudia Maria Sini