Iniziammo questo viaggio dentro la realtà scolastica per vedere da vicino dove e come i nostri ragazzi crescono. L’esito ci ha fornito risposte MOLTO interessanti ma diverse da quelle che ci aspettavamo.
La più inaspettata è che i ragazzi fra i 15 e i 18-20 non vogliono collaborare. Almeno non quelli cui è arrivata la richiesta di farlo. Raccontano che passano troppo tempo da soli, trovarsi e organizzarsi su un territorio dispersivo è complicato. Considerano importante non ammettere che sono disillusi, privati di un diritto all’allegria che è la benzina migliore per affrontare la vita. Cercano soluzioni in solitario e in sordina.
Le scuole in cui la pressione degli stranieri è maggiore, hanno schierato una difesa inutile quanto improduttiva contro il fenomeno della nostra presenza, mentre quelle dove incidiamo di meno la vivono bene ma senza consapevolezza.
Ignorano che vi siano realtà che esplodono, ignorano i numeri del quadro generale, il loro angolino è rimasto “quasi” uguale e si accontentano.
Ignorano, o almeno pare, che il fenomeno della droga fra i giovani canari sia una piaga devastante nonché il solo sport davvero praticato in alcuni dei centri sportivi comunali delle zone più periferiche.
La multiculturalità nelle scuole private ha una formula semplice: molti stranieri = molte rette pagate.
Seguono quelle in cui i genitori meglio comprendono che dall’altra parte dei vantaggi ci sono gli svantaggi e offrono supporto volontario alla scuola, ma sono fenomeni spontanei principalmente inglesi e tedeschi.
Nessuna sorpresa che la burocrazia centrale abbia prodotto delle regoline molto belle da leggere per manifestare interesse, il cui esito è sostanzialmente che i professori e la dirigenza devono farsi venire da soli qualche idea “a braccio” per cavarsela, un giorno alla volta.
I genitori hanno resistenza a scrivere al giornale, scrivono a me in privato e si limitano a proporre soluzioni su misura ognuno per il proprio figlio.
Nessuna disponibilità o quasi, a spendere tempo e attenzione per un problema affrontato con respiro ampio che non calzi come un guanto alle situazioni personali.
Nada nuevo bajo el sol… tranne qualcosa.
Noi, figli di un paese sul limite del collasso perché ospita più di quanto sia ragionevole ospitare, viviamo come nello specchio di Alice, la realtà ribaltata di essere percepiti estranei, sottoposti a condizioni a volte giuste e volte demoralizzanti per poter vivere e produrre qui.
L’ondata precedente di emigranti, che è ciò che siamo, creava le “little Italy”, il senso della tribù ci caratterizzava, a volte in modo grottesco, ma era il marchio Italia.
Oggi siamo il solo popolo presente a Tenerife che esprime il desiderio di disperdersi.
Ci avviamo ad essere la comunità contemporaneamente più numerosa e meno coesa.
Come diceva Montale abbiamo chiarissimo “ciò che non siamo e ciò che non vogliamo” ma dall’altra parte di questa definizione c’è solo la certezza che saremo deboli.
Nasce dunque una nuova iniziativa a ridosso di questa esperienza: l’incubatore di idee.
Per ora, non dimenticate in macchina, sul banco del bar, dal giornalaio, sul sedile del bus, idee positive, progetti, passioni che vorreste coltivare, hobby e interessi. Nasceranno un blog e una rubrica sulla base della convinzione che qualsiasi condizione che possa farci star bene è molto improbabile che si realizzi se la pensiamo in silenzio e da soli.
Le Istituzioni e la scuola evidentemente non sono la strada per costruire qui una rete di valori e di persone. Ma una rete di persone con valori resta la sola formula possibile di qualcosa che assomigli alla felicità e alla civiltà.
di Claudia Maria Sini