L’universo delle credenze popolari è vasto e disseminato di storie al confine tra la realtà e l’immaginario, le cosiddette leggende metropolitane che tutte le città del mondo, prima o poi, hanno sperimentato, creando schiere di credenti e improvvisati esperti che ne tentano di fornire una spiegazione più razionale.
L’Arcipelago non è da meno, territorio dalla ricca e tribolata storia, ancora fortemente legato alle proprie tradizioni popolari tramandate di generazione in generazione e soprattutto palcoscenico irresistibile per i turisti a caccia di sensazionali scoperte.
Una delle leggende metropolitane più diffuse non solo sulle isole ma in tutto il mondo civilizzato è quella che riguarda il rapimento di minori nei centri commerciali.
Purtroppo la sottrazione di minori non è così lontana dalla realtà, bensì è un fenomeno che la moderna società affronta di tanto in tanto con episodi che provocano grande indignazione e profondo terrore.
Ma proprio per queste sue caratteristiche, il rapimento dei minori si è arricchito di sciocchi allarmismi diffusi a macchia d’olio attraverso social network o sistemi di messaggistica come WhatsApp, colorando di dettagli puramente inventati il presunto crimine in atto.
In alcune versioni delle storie che circolano a tal proposito, alla stregua di vere e proprie telenovelas moderne, il minore sottratto viene rasato, obbligato a indossare indumenti non suoi, addirittura drogato per farne perdere più facilmente le tracce.
La preoccupazione che suscita un allarmismo di questo tipo rende facile il comprendere come queste leggende metropolitane abbiano la possibilità di radicarsi e diffondersi come notizia vera.
Tipicamente canario è invece il personaggio inquietante di un pirata dallo spirito ribelle e avventuroso, possessore di tesori inestimabili nascosti chissà dove ma in realtà mai esistito se non nell’immaginario collettivo, che ne ha coltivato gesta mirabolanti e dettagli dall’inequivocabile fascino.
Appartenente di diritto alle leggende metropolitane è la storia del pirata Cabeza de Perro, cui Manuel de Paz dedicò un interessante studio, mettendone in luce ipotetiche avventure svoltesi, guarda caso, in due differenti epoche storiche, ovvero alla fine del XVI secolo e nella seconda metà del XIX secolo.
Nel primo caso il presunto pirata avrebbe percorso in lungo e in largo Lanzarote e le sue coste, unitamente a un altro personaggio di certa invenzione, Ana Viciuos, una pastorella locale cui Cabeza de Perro avrebbe rapito il cuore, portandosela nella tomba insieme ai suoi tesori.
Il personaggio di questo pirata deve molto della sua fama ad Aurelio Pérez Zamora nelle cui novelle era spesso il protagonista principale, come nella Sor Milagros o Secretos de Cuba.
Il nome Cabeza de Perro deriva invece dall’aspetto piccolo e grazioso e dalla particolare impugnatura del suo pugnale, ma la storia non conferma la sua esistenza, benché il potere del suo mito lo abbia fatto ritenere un personaggio reale.
di Ilaria Vitali