Oggigiorno ci si ritrova con molti giornali pieni di notizie ed opinioni riguardo a quello che sta accadendo all’interno di diverse indagini penali, grazie a fughe di notizie più o meno pilotate anche da chi vi è coinvolto.
Le persone sono così avvezze a vedere rapporti di polizia, completi o parziali, dichiarazioni di testimoni e particolari normalmente riservati alle indagini, sia sui media che sui social network, che la cosa è ritenuta ormai normale, ma spesso le notizie che circolano non corrispondono del tutto alla realtà.
In particolare quest’ultimo aspetto provoca il sorgere di giudizi paralleli attraverso i quali la società si arroga il diritto di emettere un verdetto in anticipo che, talvolta, porta a credere che la sentenza effettivamente emessa in seguito non corrisponda a realtà, con la conseguenza di un crescente sentimento di sfiducia nei confronti della Giustizia.
In questa sorta di processo parallelo mediatico, l’informazione è spesso distorta, frammentata, fuori contesto e i fatti sono sostituiti da opinioni, ipotesi, speculazioni o addirittura speranze; questa situazione porta i soggetti coinvolti a trovarsi sottoposti ad ingiuste critiche, a pubblica derisione e gratuiti insulti, senza possibilità di replica.
E benché sia confermato che la pubblicità sia una garanzia di un processo equo, non bisogna dimenticare che questo si verifica quando ci si trova realmente di fronte ad una Corte e quindi nel momento del dibattito, certamente non in fase di indagini come invece sta accadendo.
L’opinione pubblica in generale riguardo ad un personaggio noto tende a ritenere quest’ultimo in un qualche modo colpevole, una presunzione che viene stigmatizzata e che è stata definita la cosiddetta punizione del branco come da sentenza della Corte Suprema del 20 luglio 2001.
In questo modo il personaggio coinvolto deve difendersi in aula di tribunale con un avvocato, sui media con un giornalista e un consulente di immagine e sui social con un esperto.
Ma benché possa avere tutte le risorse per permettersi uno schieramento come quello poc’anzi descritto, il personaggio in questione avrà la propria immagine definitivamente danneggiata, considerando che ciò che più rimane nell’opinione pubblica sono i fatti presunti e non quelli reali.
La Ley de Enjuiciamiento Criminal proibisce all’art.301 di pubblicizzare un’indagine penale e non è necessario che ne venga dichiarata segreta la memoria, essendolo per sua stessa natura e per la fase che caratterizza, ovvero quella istruttoria.
Ad esempio l’indagine di un caso criminale è segreta per la società e pubblica per le sole parti coinvolte, vale a dire accusa, difesa e pubblico ministero; l’articolo 301 ha lo scopo di proteggere le persone da giudizi paralleli, stabilendo che i casi criminali non sono pubblici fino all’apertura del processo, ovvero a chiusura delle indagini (articolo 680 della Ley de Enjuiciamiento Criminal).
Una volta emessa la sentenza, ognuno può ovviamente trarre le proprie conclusioni, senza essere stato precedentemente contaminato da informazioni o, quel che è peggio, da disinformazione.
E’ bene ricordare che per evitare l’ingiustizia, la maggior parte delle volte, è sufficiente applicare la legge, ovvero quelle regole che sono state imposte per garantire la comune convivenza.
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