Il guachinche, simbolo gastronomico e culturale canario, a dispetto di tutti i reclami avanzati per preservarne la sua genuinità, è ormai in via di estinzione.
Con il passare del tempo molti ristoranti ne hanno rubato il nome per attirare più turisti, ignari loro malgrado che il vero guachinche non ha tavoli comodi a sedere e una cucina con chef professionisti, bensì sedute di fortuna, poche e molto rustiche, piatti proposti dalla padrona di casa, che riflettono la stagionalità del momento e che non appaiono su menu, visto che il menu non esiste, ma soprattutto accompagnati da vino prodotto artigianalmente.
Il vero guachinche inoltre non ha un comodo parcheggio e un indirizzo facile da raggiungere, bensì spesso è una finca sperduta nell’entroterra canaria per raggiungere la quale occorre fare parecchi km; insomma il falso guachinche è solo uno specchietto per le allodole che nasconde un ristorante a tutti gli effetti, con innegabili pregi derivanti da comodità e varietà di menu, ma nulla a che vedere con la tradizione gastronomica dei veri guachinche.
Come se non bastasse, a spingere questi locali folcloristici alla estinzione ci si è messo anche il Gobierno delle Canarie che, insieme al Cabildo di Tenerife, in questi anni ha fatto un po’ orecchie da mercante riguardo all’invasione della gastronomia sul territorio; solo dopo una forte pressione da parte di media e proprietari di guachinche, si è arrivati al regolamento approvato il primo agosto 2013 in cui il Gobierno ha stabilito le linee guida alle quali i guachinches devono sottostare.
Il decreto 83/2013 infatti disciplina l’attività di commercializzazione temporanea del vino cosiddetto domestico e dei luoghi dove viene somministrato; la normativa definisce il guachinche come “commercio al dettaglio per uno specifico periodo di vino locale, proveniente da vigne di proprietà, gestito da chi lo produce, sviluppato in locali che fanno parte della dimora del titolare e dove il cibo può essere servito nei termini e nelle condizioni stabilite dalla normativa”.
Dopo due anni dall’entrata in vigore del regolamento, la Direzione Generale della Gestione del Turismo e della Promozione del Gobierno delle Canrie indagò sul primo guachinche nel nord di Tenerife per verificare che rispettasse le linee guida e allo stesso tempo l’Associazione delle Piccole e Medie Imprese della Valle di La Orotava avvisò che poche strutture furono in grado di terminare di legalizzare le rispettive attività.
Sebbene l’organizzazione abbia avuto elementi per poter denunciare i casi irregolari, in realtà non fece nulla, almeno fino ad ora.
Sia il Gobierno, carente nelle denunce, che l’associazione, a sua volta mancante di sostegno ai veri guachinches, risulterebbero così responsabili, con un’evidente assenza di impegno reale, della prossima estinzione dei veri locali folcloristici.
Del resto, come afferma qualcuno, il guachinche non è stato inventato da politici o giornalisti o datori di lavoro, bensì dai produttori di vino che, forse inavvertitamente ma con l’intento di promuovere i propri prodotti, hanno creato una cultura, fatta di stanze semplici, cibo casalingo e vino genuino.
Questa inevitabile estinzione che depaupera il folklore canario di uno dei modi più semplici per avvicinarsi al tessuto sociale autoctono, si accompagna ad uno scandalo risalente al 2014, quando il settore vinicolo di Tenerife ha attraversato uno dei momenti più difficili della sua lunga storia.
La frode del vino avvenne quando il Cabildo, allora governato dalla Coalizione delle Canarie e dal PSOE, acquistò circa 100.000 litri di vino dalla regione di Castilla La Mancha per poi miscelarlo, imbottigliarlo e venderlo come comune vino da tavola delle Canarie, senza alcuna denominazione d’origine ma solo con il marchio Viña Donia.
A seguito di una denuncia anonima, conseguenza dell’apparizione di una fattura di un fornitore della penisola per un valore di 19.000 euro, si arrivò alla realizzazione di un disegno di legge, un espediente amministrativo, da parte dell’ICCA, Instituto Canario de Calidad Agroalimentaria, incaricato di proteggere e controllare i prodotti locali tipici.
Lo scandalo emerse, con tanto di fatture di acquisto di vino non canario e venduto nel mercato alberghiero, con la conseguente dismissione della Bodegas Insulares Tenerife, il cui principale azionista era proprio il Cabildo.
Un atto di concorrenza sleale abominevole, un vero e proprio autogol, che portò il caso davanti alla Corte di Giustizia europea; ICCA sanzionò pesantemente Bodegas ma successivamente la presentazione da parte della deputata del Gruppo Popolare Cristina Tavío del documento del Ministero dell’Industria, Energia e Turismo nel quale si esaltava la caratteristica DOP del vino denominato Viña Donia, dimostrò che al contrario delle affermazioni ufficiali, il vino importato poteva essere commercializzato come vino da tavola canario, un’autentica frode ai danni di produttori e consumatori.
Franco Leonardi