Nell’analisi che gli storici fanno della fine del XX secolo e degli inizi del XXI, il cosiddetto postmodernismo, non possono che evidenziare caratteristiche come il decostruttivismo, il relativismo, il pluralismo egualitario e progressista ma profondamente pregno di narcisismo ed egocentrismo, che sono propri di quest’epoca e che hanno portato ad uno dei sistemi sociali più costosi e dannosi che l’umanità abbia mai sperimentato, basato sul cosiddetto buonismo.
Non si tratta di una visione distopica, bensì di una lucida analisi di ciò che è derivato dal movimento leggero degli hippies, da quelle generazioni che ballavano amandosi sulle note di Hendrix e dei Rolling Stones per protestare contro la guerra in Vietnam, di quelli, in buona sintesi, che non solo non hanno risolto alcun problema ma sono riusciti ad ampliare quelli esistenti.
Il postmodernismo ha creato un disastro economico e sociale di ignorata rilevanza; in paesi come l’Olanda, dove ha funzionato bene o male per un certo tempo, ha portato alla società multietnica ma in paesi come Spagna o Venezuela le conseguenze sono state devastanti, dove l’indulgenza lassista si sposa ad un elevato egocentrismo.
Relativismo, eguaglianza, inquisizione del politicamente scorretto, in una parola il buonismo, in Spagna sono tutti figli del postmodernismo, una visione che ha mitizzato la parte emotiva dell’essere umano, disprezzandone quella razionale, anziché operare per una loro più equa integrazione.
La libertà individuale oggi è più che mai minacciata e ampissimi sono i gradi di diseguaglianza, soprattutto tra il potere dello stato e i cittadini e tra la ricchezza dell’élite oligarchica che controlla lo stato e la classe media impoverita.
Il postmodernismo, con il suo buonismo a vessillo, ha cercato di fare una rivoluzione distruggendo tutto ciò che prima era presente, in particolare i progressi della modernità come la libertà della democrazia liberale, il progresso del capitalismo o le strutture gerarchiche per il controllo di comportamenti egocentrici di paesi meno sviluppati.
In breve il posmodernista è quello che Nassim Taleb, filosofo saggista e matematico libanese naturalizzato statunitense, chiama l’intellettuale idiota, colui cioè dotato di un semplicismo che gli fa puntare l’attenzione sulle cose più evidenti, tralasciando ciò che non appare ma che è indubbiamente ad un livello superiore, che gli fa proclamare con orgoglio il suo essere buono e che gli fa vivere la tranquillità tipica degli ignoranti.
Il multiculturalismo, che promuove l’idea che l’immigrazione è un diritto umano e che il diritto di emigrare porta a maggiori diritti, è il tipico esempio della semplicioneria del postmodernista che difende a spada tratta i migranti che arrivano nei paesi ricchi anziché preoccuparsi del necessario sviluppo da attuare nei loro paesi affinché non siano costretti all’emigrazione.
In un assunto: viene trattato il sintomo ma non la malattia.
E questo è stato ampiamente espresso dalle politiche migratorie dei vari paesi sviluppati.
La progressione postmodernista, nel suo profondo narcisismo, pensa che le persone debbano agire in accordo con i suoi maggiori interessi, dei quali è convinta di possedere la piena conoscenza.
Durante la peste nera ci fu una grande mortalità in Europa e conseguentemente il valore del lavoro e dei salari cominciarono a salire; per proteggere gli interessi dei grandi signori feudali, lo stato introdusse limiti di prezzi e incoraggiò altre misure, come il traffico degli schiavi.
Non è un caso, infatti, che la tratta degli schiavi nelle Canarie si sia intensificata dalla seconda metà del XIV secolo e per tutto il XV secolo: la peste nera aveva trasformato la tratta in un grande business.
Bene, per evitare l’aumento dei salari in Europa, niente di meglio che aumentare l’offerta di lavoro disponibile con l’immigrazione; ovviamente non è possibile affermare esplicitamente che accogliere immigrati è importante per non far lievitare gli stipendi e per ridurre diritti e influenza politica, molto meglio vendere il fenomeno sotto la maschera umanitaria progressista e buonista che, ovviamente, trova un varco nell’animo sempliciotto del cittadino medio.
Risulta così chiaro che le varie élite si sono unite nel comune interesse per mantenere la loro posizione, massimizzare lo sfruttamento degli altri e per non cedere ai propri ritorni se non attraverso il conflitto.
Quando i loro interessi sono in pericolo, semplicemente cambiano le regole del gioco a loro favore, così come hanno fatto con i salvataggi bancari o con la politicizzazione della giustizia.
Chiaro no?
Ma il problema è che il concetto di lotta di classe, un concetto liberale almeno in origine come riconosciuto da Marx, è stato fagocitato dal comunismo ed il liberale puro ha finito per dimenticare che la sua vera origine è proprio… la lotta di classe.
E non è un caso che siano stati proprio i liberali, gli unici a tagliare la testa ai re per creare un sistema più equo di distribuzione delle ricchezze e delle opportunità, ma anche questo, ahimè, è stato dimenticato.
Permettere ai paesi degli emigranti di svilupparsi, va, di fatto, contro gli interessi delle elite, quella che ne favorisce i flussi migratori.
Il buonismo postmoderno alla fine l’unica cosa che ha fatto è stata quella di giocare con l’oligarchia, e la privazione delle libertà e del benessere ne sono la conseguenza diretta.
Coloro che credono di trovare la risoluzione del problema, non si sono ancora resi conto di essere essi stessi il problema.
Franco Leonardi