Forse a qualcuno il termine mercato vincolato non dice nulla, ma se si comincia a parlare del fatto che con la crisi le isole Canarie sono diventate il mercato a cui i produttori nazionali destinano le proprie eccedenze, allora forse diventa tutto più chiaro.
Con il calo dei consumi e la volontà precisa di mantenere ugualmente lo stesso livello di produzione per garantirsi i costi fissi favorevoli, le aziende nazionali vendono, in perdita, le varie eccedenze alle Canarie, un mercato frammentato e lontano dal territorio e quindi ideale per ricollocare i surplus senza andare a creare degli squilibri nel mercato nazionale con prodotti commercializzati a un prezzo inferiore rispetto al loro costo di produzione.
Così facendo le aziende non solo non perdono denaro, compensando con le vendite fatte nel Paese, ma riescono a godere di particolari vantaggi sui costi fissi.
Questa pratica, vietata dalle autorità europee, è stata in più occasioni denunciata dagli industriali delle Canarie davanti alla Commissione Nazionale dei Mercati e della Concorrenza (CNMC), ma le minime sanzioni previste al riguardo non fanno che incoraggiare i produttori a continuare ad adottare questo modus operandi.
In economia il dumping è un termine utilizzato per definire un sistema predatorio di prezzi, specialmente in un contesto internazionale, che si verifica quando un’azienda esporta un prodotto in un altro paese ad un prezzo inferiore al prezzo con il quale viene venduto nel suo mercato originario o ad un prezzo inferiore al costo stesso di produzione; entrambe le situazioni sono quelle che si verificano nell’Arcipelago.
Proibita anche dalla OMC, Organizzazione Mondiale del Commercio, fino a dieci anni fa per i danni che avrebbe potuto provocare ad un’intero ramo di produzione nazionale del paese importatore, questa pratica in seguito, sotto la pressione della UE, è passata dall’essere vietata all’essere solo sanzionata.
L’intera politica agraria comune dell’Unione Europea, ovvero il principale motore che finanzia la burocrazia di Bruxelles, si basa proprio sulla pratica istituzionalizzata del dumping, come dimostrato nel documentario La poderosa agricultura europea, che ha portato in breve tempo alla bancarotta del sistema primario di molti paesi in via di sviluppo.
Questa legislazione comunitaria rappresenta di fatto una delle maggiori cause di squilibrio, fame e sottosviluppo nel mondo, distruggendo le possibilità di crescita di molti paesi tecnologicamente poco avanzati e che solo nel settore primario vedono la loro unica opportunità di sviluppo.
Ritornando alle Canarie, in pratica la Spagna agisce con esse come fossero una colonia, in breve una Cuba del XXI secolo, come osserva Maria del Carmen Barcia nel suo libro “Burguesía esclavista y abolición”.
Le Canarie rappresentano solo il 4,5% del PIB spagnolo, ma generano oltre il 20% del reddito turistico della Spagna, essendo l’Arcipelago un grande esportatore non di merci, bensì di servizi, in questo caso turistici.
Il confronto dei saldi fiscali pubblicato dal Ministero dell’Industria per il 2005 mostra che la maggior parte dell’attività economica generata nelle Canarie non è tassata; il disavanzo fiscale minimo dell’Arcipelago, se contabilizzato secondo il principio del flusso monetario, è più che compensato dal surplus delle isole ai contributi della Seguridad Social.
Le isole contribuiscono con circa un miliardo di euro all’anno in più di quanto ricevono e questo aiuta a compensare il deficit del sistema pensionistico spagnolo; le Canarie sono la terza comunità che maggiormente contribuisce alla singola voce della Seguridad Social spagnola, ma anche la peggiore comunità finanziata dallo Stato.
Insomma: i canari contribuiscono più di quanto ricevono o, al massimo, tanto quanto ricevono ma, in nessun caso, sono da considerarsi dei mantenuti dallo Stato.
Questa situazione si sarebbe invertita se la Spagna avesse a suo tempo autorizzato la creazione di un Tesoro delle Canarie, un progetto risalente al 1972 e prontamente negato dal Gobierno; così come si dovrebbe cambiare l’attuale statuto di regione ultra periferica con quello di associata UE in quanto Paese e Territorio d’oltremare.
Questo consentirebbe di attuare quelle necessarie politiche industriali e agricole, oggi proibite dalla Organizzazione Mondiale del Commercio per le regioni insulari.
Si potrebbe quindi recuperare lo spirito dei Puertos Francos e abolire una REF che si è dimostrata totalmente inefficace per le problematiche delle isole, ampliando così l’autonomia e perseguendo un modello di sviluppo con totale libertà.
Franco Leonardi