Cari amici, l’argomento economico del mese è la Cina.
Vi sembra lontana e pensate che non vi riguardi?
Se è così vi invito a ricredervi, perché il colosso asiatico già oggi incide moltissimo sulle vite di tutti noi e ancora di più le influenzerà nei prossimi anni e decenni.
Una celebre frase attribuita a Napoleone dice: “Quando la Cina si sveglierà, il mondo tremerà”.
Autentica o meno che sia la citazione, certamente corrisponde al vero.
La storia ha assegnato proprio alle nostre generazioni l’onere di partecipare a questa transizione epocale, perché la straordinaria e inarrestabile ascesa della Cina sulla scena politica, militare ed economica mondiale è già iniziata… ma prima di proseguire riflettiamo su qualche numero, per renderci conto di cosa stiamo parlando.
- La Cina ha più di 1.300 milioni di abitanti, ossia ogni 100 abitanti del nostro pianeta circa 20 sono cinesi… e, aggiungo, altri 20 vivono nell’altro colosso asiatico suo confinante: l’India.
- Questi due paesi da soli già valgono il 40% della popolazione mondiale.
- La superficie della Cina equivale circa a quella degli USA, che hanno quattro fusi orari; ma senza andare per il sottile la Cina ha unificato i suoi cinque in uno solo (naturalmente quello di Pechino!), cosicché nella regione più occidentale il sole sorge quando l’orologio segna già le 10. Immagino che d’inverno sia un po’ dura essere al lavoro alle 9 quando in realtà sono le 5 del mattino, ma non per quei cinesi!
- Negli ultimi anni i consumatori cinesi hanno speso oltre 220 miliardi di euro per comprare il 32% dei prodotti di lusso venduti nel mondo e nel 2017 hanno acquistato più di 24 milioni di automobili.
- La Cina è il più grande paese comunista del mondo, ma è al 2° posto dopo gli USA nella classifica mondiale dei ricconi: i miliardari sono quasi 200 (quanti soldi sono un miliardo di euro…?!?), i milionari più di 2 milioni e ogni cinque giorni un cittadino cinese diventa milionario (quindi ogni anno ci sono più di 70 nuovi milionari).
- In Cina ci sono 15 megalopoli con più di 10 milioni di abitanti (solo in queste vivono oltre 150 milioni di persone) e quasi altre 100 con più di 1 milione (quindi solo queste ne ospitano più di 100 milioni).
- Pechino ne ha 20 milioni (un terzo dell’Italia, quasi il doppio di tutto il Belgio) e Shanghai 19.
- La Cina è già la seconda economia planetaria e con un PIL annuo (il prodotto interno lordo, cioè il valore dei beni e dei servizi forniti in un paese) di quasi 13.000 miliardi di euro (se provate a scrivere il numero, il 13 è seguito da 12 zeri!) oggi è il vero motore dell’espansione economica mondiale.
- Come paragone, negli ultimi anni il PIL cinese è aumentato costantemente di oltre il 6% annuo, mentre in Europa oscilla da tempo tra l’1 e il 2% e conquistare uno 0,1 in più è considerato un grande successo.
- In Cina si beve più vino che in qualsiasi altro paese, cito questo record perché sarebbe interessante per i produttori italiani… oltre che canari!
Numeri così impressionanti non possono che avere conseguenze dirompenti, economiche prima ancora che politiche e militari.
Per decenni la Cina è stata la cosiddetta “fabbrica del mondo”, inondando il pianeta con i suoi prodotti a basso costo, ma ora con i capitali accumulati in decenni di ingenti avanzi della bilancia commerciale è passata alla fase successiva della rivoluzione industriale, in cui innovazione, qualità dei prodotti e finanza svolgono – e sempre più svolgeranno – un ruolo cruciale in un’economia trainata non più dalle esportazioni ma dai consumi interni e dai servizi.
La maggiore istruzione e la qualità del lavoro aumenteranno la competitività non solo nella produzione manifatturiera ad alto valore aggiunto, ma anche nella tecnologia.
Il dirigismo ha anche i suoi vantaggi, perché quando il governo decide qualcosa si passa direttamente all’azione, senza parti sociali con cui contrattare faticosi compromessi che accontentino (o deludano) tutti, né lunghi ricorsi a tribunali amministrativi che durino anni o decenni, durante i quali progetti anche urgenti finiscono per impantanarsi.
Ma com’è possibile che il maggior paese comunista mondiale sia anche quello in cui un capitalismo spinto sta ottenendo risultati superiori a quelli di molte “democrazie” tradizionali? Sembra una contraddizione in termini, ma se la validità di un sistema si giudica dai risultati, bisogna ammettere che la ricetta cinese funziona.
Solo pochi anni fa sarebbero suonate stupefacenti alcuni intenzioni manifestate dal governo nel recente Congresso del Popolo: liberalizzazione del settore manifatturiero, delle telecomunicazioni, della sanità e dell’istruzione e attenuazione o eliminazione di molti vincoli all’attività delle banche e dei fondi d’investimento esteri.
Già oggi il mercato azionario e quello obbligazionario cinese occupano il secondo e il terzo posto nella classifica mondiale per dimensione e recentemente gli indici di riferimento MSCI hanno deciso di includere alcuni titoli azionari cinesi.
E parlando di questa travolgente modernizzazione arriviamo agli ultimissimi sviluppi: la controversia commerciale tra Cina e USA, innescata quest’anno dal presidente Trump. Gli Stati Uniti si trovano in una situazione opposta a quella cinese: se la Cina è un paese emergente in impetuosa crescita, gli USA sono in un lento e dorato ma inesorabile declino, segnato tra l’altro da un amplissimo deficit del bilancio statale e soprattutto da un astronomico passivo della bilancia commerciale, da tempo superiore a 600-700 miliardi di dollari all’anno.
Per riequilibrare la situazione Trump ha ritenuto opportuno imporre dallo scorso 6 luglio una serie di dazi (del valore di 34 miliardi di dollari) sulle importazioni di prodotti cinesi ed è allo studio una seconda serie del valore di 16 miliardi di dollari.
Come ritorsione, anche la Cina ha varato alcuni dazi sulle importazioni di prodotti energetici e agricoli USA; si è così innescata una spirale di ritorsioni, controritorsioni e scontri verbali di cui per ora non si scorge la fine, anche se tutti gli analisti concordano sulla necessità di un compromesso tra i due contendenti per evitare una guerra commerciale dannosa per tutti.
Per concludere questa panoramica forzatamente scarna sull’odierna economia cinese e sulle sue proiezioni future non si può ignorare la cosiddetta “Belt and Road Iniziative”, un progetto – colossale come tutte le cose cinesi – che si ricollega idealmente alla medievale Via della Seta, ma di ben altra ampiezza. Si tratta in sintesi di due corridoi commerciali di collegamento tra la Cina e l’Europa, uno ferroviario attraverso Asia e Medio Oriente e uno marittimo che coinvolge anche l’Africa, di cui i maligni dicono che servirà a invertire le parti odierne: saranno i paesi allora poveri d’Europa a fare da “fabbrica del mondo”, producendo manufatti da spedire agli allora ricchi consumatori cinesi.
I numeri impressionanti che citavo all’inizio conferiscono alla Cina, semplicemente per la loro esistenza, una massa critica schiacciante: basti pensare a quanti clienti un’azienda cinese può trovare nel suo mercato interno senza preoccuparsi delle esportazioni, o a quanto grandi possano essere gli utili del suo fatturato, o a quanto ingenti saranno le risorse finanziarie a disposizione del governo per realizzare le sue strategie, tra le quali ovviamente non può non esserci il perseguimento di una posizione mondiale preminente, da raggiungere possibilmente con la politica ma ove necessario con la forza, che alla Cina di domani non mancherà e che sicuramente essa non esiterà a usare.
Per raggiungere quest’obiettivo bisogna però controllare le fonti di materie prime e procurarsi alleati o fiancheggiatori nelle aree strategiche.
Da decenni la Cina sta realizzando una silenziosa colonizzazione dell’Africa, non con eserciti e cannoniere ma con accordi di collaborazione e costruzione di infrastrutture, affidate naturalmente ad aziende cinesi e finanziate con prestiti cinesi pagati con le materie prime di cui l’Africa è ricchissima. La Cina oggi è anche uno dei maggiori venditori di armamenti all’Africa.
Secondo alcune interpretazioni, perfino l’ondata migratoria che dall’Africa si abbatte sull’Europa farebbe doppiamente gli interessi della Cina, da una parte destabilizzando l’Europa e dall’altra togliendo di mezzo giovani validi che potrebbero opporsi alla strisciante colonizzazione cinese dei loro paesi.
Interpretazioni e illazioni, naturalmente, ma non prive di logica.
Infine, diamo un sguardo al futuro non immediato.
Da tempo sono convinto che entro la fine del secolo, e forse anche molto prima, la Cina sarà la potenza economica, militare e politica egemone nel mondo.
Con una presunzione ingiustificata della propria superiorità non solo economica ma anche morale, l’Europa è troppo occupata a scrutarsi l’ombelico, mentre gli USA sono in lento ma inarrestabile declino e d’altra parte, come dicevo prima, la massa critica della Cina è schiacciante; quando la sua potenza economica sarà sufficiente per trasformarsi in forza militare da usare per sostenere la sua politica, e non credo che manchi più di qualche decennio, il gioco sarà fatto.
Forse la Russia e l’India potranno agire da contrappesi, ma è tutto ancora da vedere.
Quanto a noi italiani ed europei, dovremmo almeno riflettere sulla nostra microscopica piccolezza e insignificanza economica, politica e militare dinanzi a questo e ad altri colossi, e trarne le conseguenze.
Francesco D’Alessandro