Il militare e giornalista Ricardo Ruiz y Aguilar (Fig. 1) nacque a Granada ed era molto legato a Tenerife dove soggiornò per gran parte della sua vita e si sposò con una ragazza del posto.
Nel luglio 1890 firmò due articoli per “El Correo Español” di Madrid usando come pseudonimo “Zuri”, l’anagramma del suo primo cognome.
Gli pseudonimi all’epoca erano molto usati, ad esempio il giornalista e poeta Ferdinando Pessoa ne usava una dozzina.
Gli articoli di “Zuri” erano titolati “Tenerife in Manila”, e denunciavano una “fake” che aveva pubblicato un giornale di Manila.
In sintesi scrisse: “Un certo Sánchez del Campo, pubblica di essere stato il primo a esplorare a piedi la cima del Pico del Teide”
Ruiz y Aguilar, determinato a smascherare il fasullo esploratore, lo contraddice in molti punti scrivendo anche che: “Non esiste nessuna via che porta alla cima del Teide, che dice di aver percorso a piedi il signor Sánchez, che si possa fare se non con muli…” e più avanti: “…se verificasse quello che scrive, scoprirebbe che nel punto che indica non esiste un ristorante ma una casa modesta (Fig. 2) dove rari viaggiatori si possono riparare e dove mangiano ciò che ognuno porta per sé”.
Infine ”Zuri” scrive una cosa interessante, non solo come omaggio alla donna, ma che ci fa scoprire delle esploratrici forti e determinate che pochi conoscono: “…Quello che erroneamente il Sánchez dice è che non ci sono mai state donne che finirono la scalata.
Ma molti sanno che da La Orotava, le figlie dei Marchesi della Florida e La Candia, quelle di Monteverde e altre mille, hanno fatto l’ascesa più di una volta, e tra gli estranei nel paese posso citare la bellissima figlia dell’attuale Capitano Generale delle Isole Canarie, il signor Morales de los Ríos, che è salita in cima l’anno scorso; e la famosa Esmeralda Cervantes (Fig. 3) che lo scalò qualche anno fa senza altro aiuto se non la mano di uno dei valorosi cavalieri che l’accompagnavano.
Ora sappiamo, grazie alle imposture di Sánchez del Campo e ai chiarimenti di Ricardo Ruiz y Aguilar, che la cima del Monte Teide era stata visitata, prima del 1890, da diverse giovani delle Canarie e almeno due peninsulari.
Tra i nativi di La Orotava, ci sono le figlie dei Marchesi della Florida e di La Candia, che non avrebbero potuto essere altro che Elena María Candelaria Elvira e Concha Marina Benítez de Lugo e Benítez de Lugo, che furono tra le prime (Fig. 4); e Isabel Laura Beatriz e Eustaquia Cólogan y Cólogan, figlie di quest’ultima.
Ci incuriosisce altresì la frase che scrive Ruiz “…che ce ne sono altre mille…”, che hanno intrapreso con successo o meno l’ascesa del vulcano.
Indagando scopriamo che la prima notizia che abbiamo sull’esplorazione del Teide da parte di una donna è stata pubblicata sulla stampa di Madrid “La Spagna”, nel dicembre 1860, dove si legge: “Una giovane donna, appartenente a una delle famiglie più illustri di Gran Canaria, scrive un’interessante descrizione della sua scalata sul Monte Teide, meglio conosciuta nel mondo con il nome di Pico de Tenerife, ad un suo amico, residente in Spagna e che qui pubblichiamo integralmente: “Sono stata a Tenerife per una settimana.
Due mesi fa sono scesa dal Teide.
Questo è stato un viaggio curioso.
Partimmo da l’Orotava alle undici del mattino a cavallo.
Ci riposiamo alle tre per mangiare e continuiamo a scalare quelle aree fino alle sei, dove raggiungiamo la base del Monte Teide.
Abbiamo continuato fino all’Estancia de los Ingleses e quando abbiamo scalato quella prima parte, ci viene regalato uno spettacolo sorprendente.
Abbiamo potuto vedere Gran Canaria molto chiaramente che sembrava vista in un dipinto.
In Estancia trascorriamo la prima parte della notte.
Abbiamo dormito su alcuni zerbini, avvolti in coperte e riparati da una grande pietra.
Quindi siamo rimasti fino all’una e mezza di notte, al che la guida ci ha svegliati e detto che dovremmo continuare la salita.
Seguimmo un’altra ripida collina a cavallo, dove i poveri animali camminavano con tanta fatica.
Alle tre abbiamo iniziato a camminare su un “Malpaís”, quasi tutto coperto di pietre mobili.
Quindi cercavamo di arrampicarci su quelle pietre nel miglior modo possibile senza riposare, fermandoci appena a prendere fiato; la cosa pratica era per noi bere liquori o brandy che sembra essere acqua lì e continuare a camminare in modo che il corpo non si raffreddasse.
Concluso il “Malpaís” saliamo sul “Pilone di zucchero”, l’ultima parte del Picco, che è il più doloroso, perché oltre ad essere molto ripido, è fatto di ghiaia e pomice e si scivola.
Finalmente alle cinque arrivammo in cima.
F. era con me con quattro cugini che avevano tremende vertigini.
F. e io siamo stati fortunati a non avere le vertigini, una cosa molto strana, dal momento che dicono che quasi tutti soffrono di questa molestia, causata dai gas e dall’aria leggera che viene respirata.
In effetti, c’è un odore di zolfo così forte sopra, che mi ha ricordato quando ero nella fonte di zolfo di Enghien. Inoltre, c’è un continuo contrasto tra caldo e freddo.
Il cratere è coperto di zolfo.
Ho scalato la pietra più alta; la guida mi ha avvertito che lì faceva molto freddo; e in effetti dopo tre minuti sono dovuta scendere.
La mia schiena si stava congelando.
Mi sono messa al riparo dietro delle pietre, quando sento che il mio piede stava bruciando.
Saltai subito via, era un rivolo di fumo dalle numerose prese d’aria che erano lì, che usciva accanto a me.
E se non fossi scappata via il mio vestito sarebbe bruciato.
Tenerife era coperta dalla nebbia che si diffondeva formando un bellissimo “cotone”.
Dall’immenso orizzonte vedemmo Gran Canaria, La Palma, parte di La Gomera e la costa di Fuerteventura.
Lì ho raccolto pietre di zolfo cristallizzate molto belle.
Alle sei abbiamo iniziato a scendere, perché il caldo era molto forte.
Poi vidi i precipizi in cui eravamo passati quella notte.
Siamo andati a vedere uno sfogo alla base del “Sugar Loaf”, che è un cratere dell’ultimo vulcano che è scoppiato ed è coperto di neve; e davanti esce un flusso di fumo, maggiore di quelli in alto.
Fa rumore quando esce come acqua bollente, e i gas producono un liquido che mantiene umida quella parte e con muschio la grotta da cui fuoriesce.
Alla fine del “Malpais”, eravamo nella “grotta di ghiaccio”.
È uno stagno coperto tutto pieno di ghiaccio, e sullo sfondo, sopra di esso, ci sono circa due barre d’acqua: il soffitto sembra un’opera gotica.
C’è un’altra grotta all’interno, formata da un arco di ghiaccio chiamato “La Capilla”.
Deve essere magnifico ma non l’abbiamo visto, perché è necessario scendere ed è pericoloso.
Continuammo a piedi fino alla base del Monte Teide, e lì a Las Cañadas, proseguimmo a cavallo fino alle tre del pomeriggio dove arrivammo a La Orotava (Fig. 5 in un’incisione dell’epoca).
Questa è la descrizione del mio viaggio che suppongo leggerai con piacere ”.
Pensiamo che la descrizione di questo viaggio sia di Pilar o Dolores del Castillo Westerling (Fig. 6), figlie del quarto conte della Vega Grande de Guadalupe.
Ci siamo basati, nella ricerca, sul fatto che risiedevano a Parigi ed è molto probabile che abbiano fatto il bagno nelle vicine terme di Enghien che odorano di zolfo e inoltre sappiamo che avevano diversi cugini a La Orotava, uno dei quali, Fernando (che risponde all’iniziale del nome che cita) è quello che condivideva con lei la fortuna di non soffrire di mal di montagna.
Andrea Omnia
Bibliografia:
«Viejo noticiario isleño». La Tarde. Santa Cruz di Tenerife, 6 settembre 1957.
“Tenerife en Manila”. Diario de Tenerife. Santa Cruz di Tenerife, 19 e 22 luglio 1890.
Nobiliario y Blasón de Canarias. Volumi I e III – La Laguna de Tenerife, 1952 e 1959
Il libro paga provvisorio delle guide delle Isole Canarie nel corso del XIX secolo