Le isole Canarie hanno una storia evolutiva di 70 milioni di anni e una quantità sorprendente di tipologie di rocce e di eruzioni, che le rendono una delle aree vulcaniche più interessanti del mondo.
Le Canarie sono “piramidi” che si innalzano fino a quasi 8 km di altezza dal fondo del mare e per questo motivo sono uno degli arcipelaghi vulcanici di maggior interesse scientifico al mondo.
Nel XIX secolo, queste isole sono state considerate una delle aree principali sulle quali si è sviluppata la vulcanologia moderna e oggi mantengono questa considerazione privilegiata a causa di due fattori: l’eccezionale collocazione geografica e la loro insolita longevità (l’attività vulcanica continua da almeno 70 milioni di anni).
A queste caratteristiche si uniscono una grande varietà petrologica: le isole costituiscono un vero museo di rocce da far invidia a tutte le altre zone vulcaniche, per esempio le isole Hawaii, che risultano geologicamente più monotone.
Il paesaggio di una regione vulcanica può essere descritto come un accumulo di edifici e relativi prodotti che vengono emessi, modellati dal fattore erosione che agisce su di essi: possiamo quindi parlare di forme costruttive di rilievo (edifici vulcanici e suoi materiali) e di forme distruttive.
Per quanto riguarda le forme costruttive, alle Canarie, ci troviamo davanti soprattutto a strutture definite “Stratovulcani” (un vulcano di forma generalmente conica costituito dalla sovrapposizione di vari strati di lava solidificata, tefrite, pomice e ceneri vulcaniche) e solo in alcuni casi a “vulcani a scudo” (un vulcano solitamente generato da colate laviche fluide.
Il nome deriva dalla forma del cono vulcanico, che, visto di profilo, assomiglia ad uno scudo).
I coni di scorie (ammasso di frammenti di lava solidificata presentante un cratere alla sommità formato esclusivamente da piroclasti (ceneri, lapilli, blocchi), a seguito di attività esplosive) raggiungono altezze modeste, e per questo spesso non hanno neanche un nome (esempio a Tenerife: Moñtana Amarilla, Moñtana Roja).
Al contrario accade per le “Los Roques” , nome locale attribuito a filoni di roccia isolati che spiccano nel paesaggio.
Oltre a queste strutture abbiamo enormi distese di lave recenti di vario tipo: “lave di tipo aa”, o a blocchi (denominate malpaíses nella toponomia canaria; in hawaiano il nome significa “su cui non si può camminare a piedi nudi”; si tratta di lave la cui superficie è irregolare; durante il raffreddamento della lava, si forma una rigida crosta superficiale, che si frattura e si rompe in blocchi, a causa del movimento della lava sottostante, ancora fluida); lave “pahoehoe o lajiales” ( il nome deriva da un termine hawaiano, che significa “dove si può camminare a piedi nudi”. Si tratta, infatti, di lave derivate da magmi molto fluidi, la cui superficie è liscia, ondulata e ricoperta da un sottile strato di vetro vulcanico; talvolta sono anche dette lave a corda, perché il loro aspetto richiama quello di una corda. Questo aspetto particolare è dovuto al fatto che la lava, molto fluida, solidifica prima in superficie, mentre al di sotto essa continua a scorrere velocemente, favorendo la formazione di ondulazioni in superficie).
Le colate di lava più spesse possono svuotarsi formando al loro interno tubi di lava molto caratteristici sulle isole (un esempio importante la famosa “Cueva del Viento” di Tenerife).
Su molte isole si trovano anche “lave a cuscino” (sono così chiamate perché assumono l’aspetto di blocchi arrotondati e sono anche note con il nome inglese di pillow lava; si formano solo in ambiente sottomarino, in corrispondenza delle dorsali oceaniche, quando la lava, appena fuoriuscita, scivola lungo superfici inclinate: la superficie si raffredda rapidamente, per contatto con l’acqua, e assume un aspetto vetroso, mentre l’interno si raffredda più lentamente) e sedimenti marini.
Le dimensioni di questi sedimenti marini variano da isola a isola: il record lo detiene Fuerteventura con 4 km, seguono La Palma con 2 km e Gran Canaria con 0,4 km.
Non tutte le rocce canarie sono vulcaniche, ma abbiamo anche rocce plutoniche, rocce filoniane o sciami di dicchi (che rappresentano la via di risalita del magma verso la superficie), e rocce sedimentarie.
Tra le rocce vulcaniche presenti sulle isole ritroviamo le tre strutture tipiche: lave, piroclasti e colate piroclastiche che ci aiutano a capire il tipo di attività vulcanica che le ha generate (parametro utile ai fini scientifici per capire il tipo di pericolosità di un vulcano e i danni che può provocare in caso di attività).
Queste ci indicano che sulle isole ci sono stati tre tipi di attività principali: attività pliniana (che va a formare le colate piroclastiche), attività hawaiana (che ha formato le grandi serie di colate di lava), stromboliana e in rari casi attività idrotermale (pliniana: attività molto esplosiva, con formazione di colonne di cenere alte anche alcuni km, hawaiana: eruzioni poco esplosive di tipo hawaiano, stromboliana: attività poco esplosiva simile all’attività di Stromboli in Italia).
Per quanto riguarda le forme distruttive, iniziamo dalle scogliere, che mostrano le forme di erosione più belle delle isole, a causa dell’azione marina e eolica.
Generalmente le scogliere hanno una forma concava verso l’interno; ai piedi delle scogliere la bassa marea ci permette di osservare le forme di abrasione sulle rocce, superfici quasi piane che si formano al retrocedere dell’acqua.
Quando una isola si alza, la piattaforma di abrasione si converte in terrazzo marino; al contrario, in alcune coste basse, il mare ha portato sedimenti con i quali si sono formate le spiagge; se i sedimenti sono abbondanti si formeranno campi di dune.
Le isole Canarie inoltre subiscono il passaggio dei venti alisei dove parte dell’umidità si condensa in corrispondenza della parte alta delle isole: così si genera il caratteristico “mare di nuvole”.
La conseguenza più visibile di questa climatologia complessa è l’erosione che ha scavato profondi barranchi, canali fluviali con sezione a V.
Altro fattore distruttivo importante riscontrabile a Gran Canaria, La Palma e Tenerife è l’esistenza di grandi depressioni a forma di anfiteatro provocati da processi erosivi catastrofici facilitati dalle forti pendenze.
La più spettacolare depressione di questo tipo è il “Circo de las Cañadas”nell’isola di Tenerife.
Di tutte le 7 isole dell’arcipelago Canario, quella in cui è possibile osservare la maggior parte di tutti gli eventi descritti è l’isola di Tenerife e nel dettaglio il Parco Nazionale del Teide diventato patrimonio mondiale dell’UNESCO nel 2007.
Entrando nel parco infatti si è catapultati in un ambiente surreale, unico nel suo genere, che racchiude in pochi km una variabilità di paesaggi e colori raramente osservabili in altri siti al punto da renderlo uno dei posti più affascinanti al mondo.
L’aspetto unico che si osserva entrando nel parco è il fatto che tutte le rocce e le colate laviche sembrano essersi formate ieri.
Perché?
Questo perché il parco è quasi totalmente privo di vegetazione e l’azione antropica è veramente minima, quindi quello che osserviamo è esattamente così come si è formato!
Sembra una cosa banale ma non lo è assolutamente, quasi sempre l’intervento dell’uomo e la vegetazione stessa vanno a modificare il paesaggio, rendendolo diverso e in taluni casi difficilmente apprezzabile.
Quindi quello su cui vorrei focalizzarmi è l’aspetto principalmente “visivo” dell’ambiente che incontriamo nel parco, la varietà delle rocce, e sul perché hanno determinate forme e colori.
La grande varietà cromatica dipende da due fattori principali.
Il primo è la composizione dei prodotti vulcanici mentre il secondo è il grado di alterazione che hanno subìto successivamente.
Quindi i colori primari riflettono, in generale, la proporzione dei minerali ricchi in ferro e magnesio.
Le lave molto ricche in questi minerali, come i basalti (rocce vulcanica di tipo effusivo, ovvero prodotta dalla solidificazione di una lava sulla superficie terrestre, in ambiente subaereo o subacqueo), sono generalmente scure.
Al contrario quelle che contengono poco ferro e magnesio e molto alluminio e alcali tendono ad essere di colore chiaro.
Tuttavia questa regola ha molte eccezioni.
Lave della stessa composizione si raffreddano a volte con colori completamente distinti, perché interviene un fattore molto importante che è la diffrazione ottica, che fa in modo che noi vediamo colori molto differenti in funzione di come la roccia diffrae la luce.
Questo può essere osservato nella colate fonolitiche di alcuni duomi periferici del Teide e nella Lavas Negras. In realtà la Lavas Negras del Teide dovrebbe essere di colore molto chiaro, trattandosi di una fonolite (roccia vulcanica effusiva più evoluta rispetto al basalto) con alto contenuto in silice, alluminio e alcali.
La spiegazione sta nel modo in cui si è raffreddata, in modo talmente rapido, che non ha permesso la cristallizzazione dei minerali, e la lava si è quindi trasformata in un vetro vulcanico, la cosiddetta ossidiana.
Ecco perché l’ossidiana è completamente diversa dalla fonolite, anche se la roccia e il vetro hanno la stessa composizione.
Nell’ossidiana, piccole quantità di ossido di ferro (magnetite) di dimensioni micrometriche, diffraggono la luce dando il caratteristico colore nero, a volte con riflessi iridescenti.
Tuttavia, se troviamo una lamina molto sottile di ossidiana questa risulta essere trasparente.
L’ossidiana non ha una struttura cristallina a differenza della fonolite e le fratture sono irregolari con una forma concoide. I bordi possono essere molto fini, di dimensioni quasi molecolari, molto taglienti, motivo per cui fin dall’antichità è stata utilizzata come oggetto tagliente da molte civiltà, inclusi i guanci, che fecero un’autentica miniera di ossidiana del Teide e della Montaña Blanca.
Per capire di fatto perché una roccia di fonolite, una pomice e un’ossidiana, nonostante derivino da una stessa lava, abbiano queste forme diverse, possiamo compararlo ad un bicchiere di birra scura, dove il liquido e la schiuma sono esattamente uguali in composizione, però le bolle della schiuma diffraggono in forma differente la luce, assumendo il colore chiaro caratteristico.
Il secondo fattore che influisce nella colorazione delle rocce come detto prima è l’alterazione di queste in seguito all’azione di agenti esterni.
Questa implica il cambio e la sostituzione dei minerali delle rocce vulcaniche, le quali si ritrovano in condizione di temperatura e pressione completamente differenti rispetto a quelle di formazione e che quindi tendono a “riequilibrarsi” nel nuovo ambiente.
A temperatura ambiente e pressione normale tendono quindi a trasformarsi in minerali molto più stabili. Quali sono gli elementi che “reagiscono” a questo processo?
Primo fra tutti il ferro, il quale, a contatto con l’aria, si ossida facendo in modo che le rocce ricche in questo minerale (come i basalti) perdano il loro caratteristico colore nero formando una patina rossastra sulla roccia stessa. Se l’ambiente è anche umido, il ferro si trasforma in idrossido (per esempio la limonite), che dà alla colata basaltica e ai lapilli (prodotti vulcanici derivanti da attività puramente esplosiva) il caratteristico colore giallognolo. Logicamente, l’alterazione si sposta dall’esterno della roccia verso l’interno, per questo si osserva che nelle colate non molto antiche, l’alterazione si riduce ad una patina fine sull’esterno, mantenendo la roccia “fresca” all’interno. La stessa cosa accade per i lapilli (pomici) che nel suolo hanno un livello superiore alterato, di colore giallognolo, mentre il resto mantiene il colore originale.
La tendenza finale è che, dopo sufficiente tempo, questo materiale si trasforma in suolo attraverso un processo chiamato pedogenesi.
Questo è molto conosciuto in Tenerife, dove i campi di lava recente sono utilizzati per le coltivazioni, qui infatti il processo viene accelerato artificialmente trasportando nei siti di interesse suolo di formazione vulcanica antica, rendendo fertili i suoli coltivabili.
Un’altra formazione molto tipica è lo strato di color rosso mattone che appare spesso nella parte bassa delle colate.
Questi strati, denominati “Almagres” (proveniente dal vulcanismo dei Campi di Calatrava, dove si iniziò ad utilizzare per colorare le case di Almagro), ha un’origine completamente differente.
In questo caso l’ossidazione del ferro avviene per un processo termico che cambia il ferro in ossido di ferro di color rosso, lo stesso che si ha quando si prepara un mattone di argilla.
Le rocce di colore più intenso vengono utilizzate in Tenerife, soprattutto nella Orotava, per preparare tappeti con disegni complessi e colori variegati per celebrare determinate feste religiose.
Quindi riassumendo passiamo da colori scuri, a colori chiari in base alla composizione delle rocce, fino al rosso-giallastro in caso di alterazione esterna.
E allora perché entrando nel parco ci troviamo davanti in taluni casi a rocce azzurre?
Che tipo di rocce sono e perché hanno questo colore che spicca su tutti gli altri?
Queste rocce sono sempre di origine vulcanica, ma che hanno subìto un tipo di alterazione diversa rispetto a quanto descritto fino ad ora. Los Azulejos, come vengono chiamate, hanno infatti subìto un’alterazione di tipo idrotermale, ovvero legato alla circolazione di fluidi caldi.
La genesi di questi fluidi è legata ad una porzione di magma che si ritrova al di sotto di acqua superficiale che viene riscaldata e che come conseguenza inizia a risalire con moti convettivi (pensiamo ad una pentola di acqua calda che bolle).
Questi vengono chiamati fluidi idrotermali, ed essendo molto aggressivi, alterano le rocce che vanno ad incontrare nella risalita, depositando su di essi minerali come le zeoliti, carbonati, ecc., che danno alla roccia il tipico colore vivace verde-azzurro.
Tutte le strutture geologiche che si ritrovano all’interno del parco vanno ad influenzare un altro carattere molto importante e fondamentale: la flora.
Questa infatti si sviluppa in modo differente in base al tipo di substrato; per questo motivo troviamo versanti coperti da boschi e versanti completamenti spogli del solito complesso.
Bianca Scateni