Iniziato il processo contro l’italiano, suo figlio, il suo socio e la sua compagna, Soler, per presunta frode, appropriazione indebita e amministrazione sleale nel caso di Herrajes Guamasa.
La sesta sezione del tribunale provinciale di Santa Cruz de Tenerife celebra il processo in cui tra gli imputati c’è l’italiano Giuseppe Carta, che ha raggiunto una popolarità effimera sull’isola quando è stato presentato nel 2015, poco prima delle elezioni dell’isola, come una delle figure chiave per riprendere il progetto di costruire un circuito automobilistico nel sud dell’isola.
Carta è affiancato sul banco degli imputati dal suo partner abituale, Jesús Guillermo González Soler, così come il figlio dell’italiano e la sua partner sentimentale.
La gravità del caso, legato all’impresa Herrajes Guamasa, è dimostrata dal fatto che l’accusa presentata a nome dei querelanti chiede un totale di 34 anni di prigione per i quattro imputati per la presunta commissione di reati come la frode, l’appropriazione indebita, l’amministrazione sleale e l’occultamento.
Il peggior colpevole in questo senso è considerato lo stesso Carta, per il quale le condanne richieste ammontano a 16 anni di prigione.
La Procura chiede pene minori per i quattro e contempla solo la commissione di appropriazione indebita e amministrazione sleale.
Esattamente, un totale di quattro anni e nove mesi di reclusione per Carta e due anni e nove mesi di reclusione per ciascuno degli altri tre.
Dove le accuse coincidono è alla base, considerando provato che i proprietari originali delle imprese locali Herrajes Guamasa SL e Desarrollos DHG SL le hanno vendute a Carta per il prezzo simbolico di tre euro “con l’impegno di saldare i debiti [contratti da entrambe le imprese], azione che non è stata realizzata dall’accusato Giuseppe Carta con il danno reale” ai primi, che, “di conseguenza, sono stati danneggiati dai numerosi procedimenti legali contro di loro per l’esecuzione dei crediti” di quei debiti.
Per avere un’idea dei fatti ora da giudicare, per esempio, Carta avrebbe venduto un edificio industriale di proprietà di Herrajes Guamasa e valutato a più di 1,3 milioni di euro per 430.000 euro (ciò che restava da pagare sul mutuo).
L’obiettivo di questa operazione, realizzata attraverso altre società intestate a suo figlio e/o nuora, era quello di liberare dai gravami questa proprietà e altre con le quali avrebbe agito in modo simile, in fatti avvenuti tra il 2013 e il 2014.
“Dall’inchiesta (…) risulta che i querelanti sono stati ingannati dagli imputati e che questo è il loro sostentamento, poiché diverse cause sono state intentate contro di loro per atti simili…”.
La frase è contenuta in un’ordinanza del Tribunale d’Istruzione n. 4 della capitale emessa proprio in relazione al caso di Herrajes Guamaza, e questa descrizione delle presunte azioni criminali di Giuseppe Carta e del suo clan ha permesso nel 2015 di allertare sulla presenza dell’italiano nella rivitalizzazione del progetto di un circuito automobilistico nel sud di Tenerife.
Anche se il Cabildo volle minimizzare la questione e negare il ruolo di Carta, bollandolo a posteriori come “semplice intermediario”, la verità è che la pubblicazione del Decano fece scattare tutti gli allarmi e, anche se il progetto fu portato avanti, il contratto firmato all’epoca con diverse aziende italiane dovette infine essere salvato in tribunale.
Il secondo giorno del processo che si è tenuto a fine mese nel tribunale provinciale di Santa Cruz de Tenerife contro Giuseppe Carta, Jesús Guillermo González Soler, il figlio dell’italiano e la sua compagna, ha dato un’altra spinta alla prova dei fatti difesi dall’accusa istituzionale e dall’accusa privata, portata per conto dei querelanti dall’avvocato locale Pedro Revilla.
Nello specifico, questo processo riguarda la presunta commissione di reati come frode, amministrazione sleale e spoliazione di beni legati alla società Herrajes Guamasa in eventi che hanno avuto luogo tra il 2013 e il 2014, anche se è stato nel 2015 quando Carta ha goduto di celebrità effimera ottenendo dall’allora presidente dell’isola, Carlos Alonso, di contare su di lui per rivitalizzare il circuito automobilistico nel sud.
Per quanto riguarda le testimonianze rese nel tribunale provinciale, hanno concordato sul punto essenziale che Carta avrebbe smantellato l’azienda locale invece di liquidare i suoi debiti, come aveva promesso, e che per farlo ha usato come schermo una ditta senza capacità reale di affrontare un compito così importante.
Anche il resoconto di un altro testimone su come Carta avrebbe venduto a peso la merce di Herrajes Guamasa, anche per gli scarti, ha attirato l’attenzione.
Franco Leonardi
(P.S. non ci dilunghiamo “per pietà” sul ruolo della rappresentanza diplomatica italiana e, orgogliosamente presente alla posa della prima pietra, dove nell’occasione è stato inserito nella “capsula del tempo” anche un periodico italiano…)