Robot
Molte persone (esempio gli Svizzeri) sono come robot che non capiscono le battute; ho un’amica di Lucerna cui devo spiegare le barzellette che le racconto, i “non sense” che dovrebbero far ridere… “Un uomo entra in un caffè.. splash”.
Ho smesso di raccontargli barzellette.
Se a un computer dico che ho visto un film con la Bellucci, il PC comprende che sono andato a braccetto con lei al cinema.
Invece era un film dove lei recitava.
Anche alcuni amici pensano che conosca Monica.
Se leggeste Alice di Lewis Carroll, dovreste godere di quell’umorismo che nasce dalla logica, quella che imbarazza i robot.
Lewis Carroll scrisse trattati di logica, formula indispensabile per capire il contrasto tra il mondo reale e il Paese delle Meraviglie.
Ma agli extraterrestri (quelli umani di questa terra) questo genere di approccio pare non bastare.
“Ma gli androidi sognano pecore elettriche?” è il titolo di un romanzo di fantascienza di Philip K. Dick che solleva in modo ironico la questione delle analogie e delle differenze fra l’intelligenza umana e quella artificiale.
Capire e interpretare quelle analogie e quelle differenze può aiutarci a comprendere meglio la natura umana.
Bisogna percepire la distanza logica che c’è fra le cose come vengono prospettate e come dovrebbero essere (fra il mondo reale e il paese delle meraviglie).
E bisogna arrivarci da soli, perché se una battuta ha bisogno di essere spiegata… non fa ridere.
Se a qualcuno devo spiegare, con apposite istruzioni, perché a una certa battuta deve ridere, è impossibile che colga l’umorismo.
Ogni volta che compiliamo un modulo online, alla fine ci viene chiesto di spuntare la casella «Non sono un robot». Possibile che i robot siano così “scemi” da non superare uno sbarramento così modesto?
Basta così poco per identificare un intruso?
La spunta sulla casella “Non sono un robot” è un ostacolo insuperabile per una macchina… ma anche per molti che credono a tutto, specie in questo periodo.
Un’ultima osservazione riguardo all’umorismo di Alice, alle pecore elettriche e ai credi dei robot: ci sono quelli che nelle code (della vita) vogliono passare per primi, truffando, facendo finta di niente, millantando, o per godere di un senso frustrato appagante ottuso e limitato del potere.
Pare quasi che debbano morire di lì a poco e devono sbrigare subito delle cose.
Poi ci sono gli altri e, di questa schiera, quasi tutti pensano che passandogli davanti gli rubino un bene prezioso: un posto fatto di aria?
Del tempo per non fare comunque niente di seriamente vitale?
Pensano di subire un furto tremendo?
Di ricevere un’offesa?
La domanda è: noi siamo in grado di stare in una fila e di trovare ridicoli sia i primi che (soprattutto) i secondi?
Andrea Maino
La trahison des images – René Magritte – 1928