È una malattia che spesso insorge subdolamente e rappresenta uno dei maggiori fattori di rischio per la patologia cardiovascolare acuta intesa, nella sua espressione più eclatante, come ictus ed infarto miocardico.
Il Diabete alimentare che descriverò oggi in questo spazio che Leggo Tenerife mi ha cortesemente messo a disposizione, è una patologia dove spesso si può riconoscere un carattere di familiarità anche se risulta difficile prevedere se e quando riuscirà a manifestarsi clinicamente nel singolo individuo. Viene definito anche di II° tipo per distinguerlo da quello di I° tipo che, invece, è spesso su base virale, compare in età giovanile ed è caratterizzato dalla completa assenza di produzione di insulina da parte del pancreas che è stato distrutto dal processo infettivo.
Nel diabete mellito il principale elemento laboratoristico è l’innalzamento delle glicemia a digiuno e dopo il pasto ed il danno più evidente che lo caratterizza è la cosiddetta microangiopatia cioè l’alterazione dei più piccoli vasi sanguigni che, progressivamente, vanno incontro ad una riduzione del loro calibro per degenerazione della parete; tale lesione vascolare è, almeno in parte, legata ad un processo infiammatorio secondario al danno metabolico (aumento della glicemia) e, questa alterazione, rappresenta l’elemento cardine che è alla base di tutte le complicanze che nel tempo si potrebbero realizzare.
Poiché i piccoli vasi sanguigni sono presenti in tutti i tessuti e in tutti gli organi, l’alterazione che li contraddistingue sarà ubiquitaria e, conseguentemente, diffusi saranno anche i gravi danni tessutali che tutti noi ben conosciamo.
Facciamo degli esempi: la compromissione dei vasi retinici è capace di generare la retinopatia e nel tempo la cecità; è il danno dei capillari glomerulari (unità funzionale del rene) a produrre l’insufficienza renale tipica del paziente diabetico; l’alterazione dei capillari sottocutanei partecipa a generare le classiche lesioni ulcerative che sono prevalenti agli arti inferiori e che potrebbero poi evolvere verso lesioni necrotiche talvolta causa di amputazioni. Fortunatamente queste menomazioni sono un lontano ricordo perché, una precoce diagnosi ed un adeguato trattamento, hanno reso sempre più rara tale necessità. Lo stesso danno microvascolare sarà il responsabile delle lesioni coronariche e, conseguentemente, potrà favorire l’insorgenza dell’infarto miocardico; quest’ultimo, nel paziente diabetico, potrà realizzarsi senza la comparsa del tipico dolore in relazione ad un danno neurologico anch’esso generato dalla grave lesione dei “vasa nervorum”. Eccone la spiegazione: i tronchi nervosi sono provvisti di una microcircolazione che permette loro di essere adeguatamente nutriti; in presenza di diabete, la lesione di questi piccoli vasi genera un progressivo danno alla fibra nervosa che, alterata funzionalmente, non riesce più a trasportare il segnale doloroso. Ne deriva che, nei pazienti affetti da diabete mellito, l’infarto può realizzarsi in modo subdolo e, non identificato precocemente, può risultare più facilmente letale.
Ma andiamo a ragionare sul come e sul perché il paziente diabetico manifesti l’aumento della glicemia. Nel far questo teniamo anche a mente che, almeno in taluni casi, è necessaria la somministrazione di insulina per gestire al meglio la patologia (diabete insulino trattato). La prima domanda da porsi sarà: c’è una carenza di produzione insulinica da parte del pancreas? No, nel diabete alimentare non c’è carenza di produzione insulinica anzi talora ne viene prodotta anche più del necessario. Il problema è solo legato ad un’alterazione nella capacità di dismissione rapida dell’insulina dopo l’assunzione del pasto, verosimilmente per problematiche genetiche. Così, mentre nel soggetto normale il fisiologico brusco innalzamento della glicemia dopo l’introduzione degli alimenti comporta l’immissione in circolo di un bolo di insulina pronta disponibile e capace di contenere la conseguente iperglicemia, nel diabetico di II tipo, manca tale capacità e, naturalmente, subito dopo il pasto si potranno documentare valori glicemici elevati, talvolta davvero impressionanti (anche maggiori di 600 mg/dl). È proprio questa problematica che potrebbe costringere il medico a somministrare insulina pronta in coincidenza del pasto per contrastare il brusco rialzo glicemico. Successivamente il pancreas, stimolato dallo stato iperglicemico, andrà a produrre grande quantità di insulina nelle ore successive e potrà, eventualmente, creare qualche problema di ipoglicemia tardiva se il paziente rimanesse troppo a lungo a digiuno.
Proprio per tali motivi, le indicazioni che vengono date al paziente diabetico sono quelle di non saltare i pasti e di assumere alimenti privi di zuccheri semplici che, rapidamente assorbiti, potrebbero esasperare l’incremento glicemico.
Per ovviare o ridurre il danno microvascolare sarà indispensabile un ottimo controllo metabolico del paziente diabetico; questo obiettivo potrà essere raggiunto sia seguendo un’adeguata dieta ed un’idonea attività fisica, sia attraverso la scelta di una terapia farmacologica che andrà definita, nel singolo paziente, in relazione a diversi parametri che dovranno essere valutati dal Diabetologo.
Al solito, di fondamentale importanza sarà il comportamento dello stesso paziente che dovrà seguire meticolosamente le raccomandazioni fatte sia in relazione allo stile di vita sia nella corretta assunzione della terapia che gli è stata prescritta.
Naturalmente, come per lo stato ipertensivo, la diagnosi di diabete mellito dovrebbe essere posta più precocemente possibile per ridurre gli effetti tardivi di questa patologia cronica. Sarà necessario in tal senso valutare periodicamente gli esami del sangue di routine tra cui la glicemia e, laddove il soggetto fosse particolarmente a rischio anche solo per la familiarità, potrebbe essere dosata l’emoglobina glicosilata (HbA1c); per la prevenzione sarà utile anche eseguire una glicemia due ore dopo la fine del pasto o, molto banalmente, un periodico controllo dell’esame urine per verificare che in esse non siano presenti zuccheri (glicosuria).