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    La sete dell’avocado è inestinguibile!

    La coltivazione dell’avocado consuma cinque volte più acqua di quella del banano, 1.741 metri cubi per tonnellata contro 340, secondo uno studio dell’Università di La Laguna (ULL).

    Il lavoro, recentemente pubblicato sulla rivista “Renewable Agriculture and Food Systems” dell’Università di Cambridge e la cui autrice principale è la ricercatrice Noelia Cruz Pérez, del Dipartimento di Ingegneria Agraria e Ambientale, si basa sullo studio dell’impronta idrica di entrambe le colture.
    L’articolo, firmato anche dal professor Juan Carlos Santamarta, dell’ULL, e da Carlos Álvarez Acosta, dell’Instituto Canario de Investigaciones Agrarias, fa parte di un più ampio progetto di ricerca denominato Investigación sobre la Huella Ecológica en Canarias (IHEC) (Ricerca sull’Impronta Ecologica nelle Isole Canarie).
    L’impronta idrica, spiega l’ULL in un comunicato, è uno degli indicatori ambientali che ci permettono di conoscere la dimensione ecologica di un prodotto o di un processo e di adottare misure per affrontare il cambiamento climatico e sviluppare strategie di mitigazione.
    Il concetto di impronta idrica è un perfezionamento del precedente concetto di acqua virtuale, coniato nel 1993, che cercava di valutare la quantità di acqua potabile contenuta in un prodotto o in un processo, soprattutto nei prodotti di esportazione.
    In altre parole, l’acqua inclusa in un prodotto di esportazione è l’acqua che viene esportata da un Paese all’altro. Questo complesso commercio virtuale di acqua coinvolge soprattutto i prodotti agricoli, sottolinea l’ULL nel comunicato.
    L’impronta idrica, invece, è definita come la quantità di acqua necessaria per la produzione di alimenti e l’elaborazione di prodotti o servizi che richiedono un processo industriale.
    Per calcolarla, il concetto è stato suddiviso in tre dimensioni: impronta idrica blu, impronta idrica verde e impronta idrica grigia.
    L’impronta idrica blu tiene conto del consumo di acqua potabile che deve essere incorporato in tutta la catena di fornitura del prodotto, cioè la quantità di acqua necessaria per la fabbricazione di un prodotto.
    L’impronta idrica verde è la quantità di acqua piovana incorporata in un prodotto finale ed è una dimensione che si applica principalmente al settore agricolo, in quanto è praticamente l’unico settore in cui l’acqua piovana viene incorporata nei vegetali consumati dalle persone.
    Per quanto riguarda l’impronta delle acque grigie, essa tiene conto del volume di acqua potabile necessario per assimilare il carico di inquinanti, oltre la concentrazione naturale di quell’inquinante che sarebbe presente in assenza di interventi antropici.
    Nel caso dell’agricoltura, l’impronta idrica fornisce una visione di come viene irrigato un determinato appezzamento di terreno e di come si potrebbero adottare misure di risparmio idrico, dopo aver studiato le esigenze idriche della coltura e il metodo di irrigazione utilizzato.
    Ciò è particolarmente importante in una regione come le Isole Canarie, dove circa l’80% della domanda di acqua dell’arcipelago proviene dal settore agricolo.
    Noelia Cruz sottolinea che è “vitale” realizzare studi sull’impronta idrica delle principali colture per identificare le pratiche di irrigazione dell’agricoltura locale e poter stabilire raccomandazioni per il risparmio idrico migliorando queste pratiche.
    Da qui l’importanza di sviluppare strategie di risparmio idrico utili per il settore, basate sulla stima dell’impronta idrica con i dati relativi alla resa e al fabbisogno idrico netto delle colture.
    Cruz avverte che questo parametro non dovrebbe comunque essere utilizzato come strumento per confrontare regioni diverse, poiché l’evapotraspirazione e le precipitazioni in aree diverse cambiano drasticamente.
    Tuttavia, può essere utilizzato per migliorare l’uso dell’acqua e ridurne il consumo in aree specifiche in cui è stato calcolato.
    Bina Bianchini

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