Se vi chiedessi “Chi è Nayib Bukele?” molti mi guarderebbero perplessi, eppure nel vasto mondo ispanico che si estende dall’Europa alle Americhe attraverso l’Oceano Atlantico questo nome vagamente arabo è molto conosciuto e anche dibattuto; dunque cominciamo con qualche nota biografica.
Nayib Armando Bukele Ortez è il 60° presidente del minuscolo Stato centroamericano di El Salvador, i cui 6.300.000 abitanti vivono su poco più di 21.000 chilometri quadrati, ossia circa 10 volte la superficie di Tenerife.
Il cognome Bukele gli viene dal padre Armando Bukele Kattán, di famiglia palestinese tradizionalmente cristiana ma convertito all’islam e figura di spicco nella numerosa comunità araba salvadoregna, mentre la madre è la cattolica Olga Marina Ortez.
Lo stesso Nayib definisce “cristiana” la sua famiglia ed il 1° giugno 2019 assunse la carica di presidente giurando su una Bibbia sorretta dalla moglie Gabriela Rodríguez, significativamente in piedi al suo fianco in tutti i suoi discorsi presidenziali.
Prima di diventare presidente Bukele era stato sindaco di Nuevo Cuscatlán e successivamente della capitale San Salvador nelle fila dell’FMLN, il Frente Farabundo Martí para la Liberación Nacional; nel periodo in cui fu sindaco della capitale Bukele lanciò il programma “Una Obra por Día” (una realizzazione al giorno), investendo 9 milioni di dollari in oltre 200 progetti per migliorare la qualità della vita dei circa 135.000 abitanti.
Espulso nel 2018 dall’FMLN per divergenze strategiche, nel 2019 Bukele si candidò alla presidenza nazionale da indipendente appoggiato dal partito di centrodestra Gran Alianza por la Unidad Nacional (l’allusiva sigla GANA in spagnolo significa “desiderio, intenzione”) ed a febbraio fu eletto già nel primo turno con la maggioranza assoluta di oltre il 53%.
Appena 20 giorni dopo l’entrata in carica Bukele avviò il “Piano territoriale di controllo” che lo ha reso noto, ordinando alla PNC (la Polizia) ed al FAES (l’Esercito), equipaggiati con nuovi armamenti e giubbotti antiproiettile, di stroncare le “pandillas”, ossia le bande mafiose che imperversavano nel Salvador, fino ad allora il Paese più violento delle due Americhe ma che oggi, come a Bukele spesso piace ricordare, contende al Canada il primo posto nella classifica della sicurezza.
L’impennata degli omicidi perpetrati a marzo 2022 dalle due pandillas Barrio 18 e MS-13 (ben 62 morti nel solo sabato 26!) indusse Bukele a chiedere al Parlamento l’introduzione dello stato di eccezione, che approvato d’urgenza all’alba di domenica 27 entrò immediatamente in vigore.
Una legge salvadoregna del 2015 già definiva “organizzazioni terroriste” le pandillas ed i loro “capi, militanti, collaboratori, sostenitori e finanziatori”, considerando illegale qualsiasi trattativa con le bande, punendo con condanne fino a 20 anni di carcere la semplice appartenenza ad una pandilla e da 40 a 45 anni i capicosca, e infine vietando gli indulti ai pandilleros, le cui “medaglie” per i delitti compiuti durante la militanza mafiosa sono rappresentate visivamente da un numero impressionante di tatuaggi sparsi in tutto il corpo, compreso il viso per farsi sfacciatamente riconoscere e intimidire immediatamente le vittime.
Secondo una statistica del Ministerio de Justicia y Seguridad Pública dall’introduzione dello stato d’eccezione fino a maggio 2023 sono stati imprigionati 68.579 pandilleros (oltre l’1% della popolazione!), compresi 1.201 capibastone di varie Maras (cosche); il 2022 è stato l’anno con il minor numero di omicidi (496) nella storia recente di El Salvador; sono stati sequestrati alle bande 1,60 milioni di dollari, 2.752 armi da fuoco, 3.669 veicoli e 16.580 telefoni cellulari usati nella commissione di crimini; e infine sono crollate le estorsioni, una delle principali fonti di finanziamento illecito dei mafiosi.
Il 3 novembre 2022 il governo paragonò alla denazificazione della Germania dopo il crollo del nazismo l’abbattimento delle lapidi delle tombe dei pandilleros, per “impedire ai terroristi di glorificare il ricordo di criminali”, ed a ottobre e dicembre dello stesso anno, durante un’operazione anti-pandillas, il quartiere Tutunichapa I della capitale San Salvador e le cittadine di Comasagua e Soyapango furono occupati manu militari dall’esercito e dalla polizia.
Il 10 maggio 2023 Bukele annunciò che dall’inizio della sua presidenza erano stati totalizzati 365 giorni senza omicidi, attribuendo questo successo al Piano territoriale di controllo ed allo stato d’eccezione, sostenuti dal 91% della popolazione secondo un sondaggio realizzato ad aprile 2022 dall’agenzia Gallup e lodati pubblicamente dall’arcivescovo José Luis Escobar Alas.
L’immancabile altra faccia delle medaglia sono l’accusa di “uso innecessario della forza” mossa ad aprile 2022 alla PNC ed al FAES dall’Ufficio dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani (ACNUDH), le asserzioni di Human Rights Watch di possedere “prove numerose e credibili” di violazioni dei diritti umani commesse dalle autorità salvadoregne – tra cui arresti arbitrari, sparizioni misteriose e decessi durante le detenzioni preventive attuate dalla polizia – e le denunce di “gravi violazioni dei diritti umani”, compresa la tortura, proferite a giugno da Amnesty International e da altre ONG.
Bukele ha ribattuto a queste critiche rivendicando il miglioramento della qualità della vita dei suoi cittadini, definendo El Salvador odierno “il Paese più sicuro dell’America Latina” e accusando a sua volta le ONG di “preoccuparsi più dei diritti dei criminali che di quelli della popolazione loro vittima”, e anzi di avere violato esse stesse i diritti umani “tacendo quando i criminali distruggevano le vite dei cittadini salvadoregni”, aggiungendo che “non permetteremo che vengano a dirci cosa fare ed a impartirci ordini in casa nostra” e che “alle ONG piacerebbe che El Salvador resti impantanato nei suoi problemi, per poter continuare a incassare i loro lauti stipendi”.
Il fiore all’occhiello di Bukele e la sintesi della sua strategia anticrimine è il Centro de Confinamiento del Terrorismo (CECOT) inaugurato il 31 gennaio di quest’anno: un carcere di massima sicurezza capace di “ospitare” fino a 40.000 reclusi ed i cui visitatori prima di accedervi devono subire la scansione minuziosa del corpo e degli eventuali pacchi destinati ai carcerati.
Sul durissimo regime carcerario che vi vige non mi dilungo, perché se volete vedere con i vostri occhi la vita che si conduce nel CECOT, digitando questa sigla e la parola Salvador in un motore di ricerca si otterranno circa 44.000 proposte solo di filmati, per non parlare degli articoli…!
Vi raccomando di guardarne qualcuno perché sono “muy impactantes”, come dicono qui, e ce n’è per tutti i gusti, di ammiratori e di detrattori.
L’altro motivo di notorietà mondiale di El Salvador è la sua inusuale circolazione monetaria, iniziata già il 1° gennaio 2001 con la dollarizzazione (cioè l’adozione del dollaro come moneta di corso legale in sostituzione del colón) decisa dall’allora presidente Francisco Flores; può sembrare una scelta bizzarra, ma c’erano dei motivi. Anche il liberista argentino Javier Milei, che nel ballottaggio del 19 novembre disputerà al peronista Sergio Massa la presidenza, in caso di vittoria si è impegnato a dollarizzare il Paese (cioè a rinunciare alla sovranità monetaria) per stroncare l’inflazione galoppante, oggi intorno al 140% annuo, sostenendo che la capacità della Banca nazionale di stampare continuamente moneta per finanziare le spese folli dei politici irresponsabili è una grave causa d’inflazione; se l’Argentina fosse dollarizzata, sostiene Milei, la Banca nazionale perderebbe la facoltà di emettere moneta e quindi i politici non potrebbero più servirsene per finanziare, stampando carta straccia, l’insaziabile famelicità dello Stato, che scarica sui cittadini il costo dell’inflazione e impone alle fasce più deboli della popolazione una tassa occulta distruttrice del potere d’acquisto dei loro salari e risparmi.
Ricordo una nota spiritosaggine che definisce l’Argentina “un Paese abitato da italiani che parlano spagnolo”… sicuramente la sovranità monetaria è un ottimo strumento quando lo maneggiano degli statisti competenti, ma se cade in mano di politicanti incompetenti e truffaldini, che se ne servono per moltiplicare all’infinito la spesa statale stampando carta igienica e chiamandola “moneta”, a vantaggio esclusivo dei loro chiringuitos de amiguitos… che parafrasando Alberto Sordi si potrebbe tradurre in italiano “i compagnucci della parrocchietta”… allora diventa disastrosa!
Sono già ricorsi alla dollarizzazione come strumento antinflazionistico (e anti-incapacità dei politici nazionali…) altri due Paesi latinoamericani, l’Ecuador e Panama.
Ricordo personalmente e spiacevolmente che nei mitici anni ’80 e ’90 la lira era regolarmente svalutata ogni 2/3 anni e che a settembre 1997 fu emessa la banconota da 500.000 (!) lire con l’effigie di Raffaello… ma questa è un’altra storia, di cui magari parlerò un’altra volta.
Dal 5 giugno 2021 Bukele ha affiancato al dollaro come seconda valuta nazionale il bitcoin, che quindi è utilizzabile ufficialmente come moneta di pagamento.
Dopo il diniego opposto dalla Banca Mondiale alla richiesta del governo di El Salvador di collaborare all’adozione del bitcoin come valuta legale, motivato con le perplessità sulla scarsa trasparenza dell’uso della criptovaluta e sull’impatto ambientale dell’estrazione di bitcoin in internet (attività che com’è noto consuma quantità ingenti di energia), a novembre 2021 il governo salvadoregno ha presentato il progetto di realizzazione della prima “Città Bitcoin” del mondo nei pressi del vulcano Conchagua, da cui dovrebbe essere prelevata l’energia geotermica necessaria per “l’estrazione” della criptomoneta; l’intera operazione dovrebbe essere finanziata con i capitali raccolti da un’obbligazione chiamata “Vulcano” e denominata proprio in bitcoin… progetto aspramente criticato da alcuni economisti esteri.
Alcuni osservatori vedono nell’adozione del bitcoin come moneta digitale nazionale il preludio dell’uscita di El Salvador dalla dollarizzazione, anche nell’intento di ridurre l’impatto delle sanzioni degli Stati Uniti, sempre implacabili giudici delle “violazioni dei diritti umani” nel mondo… escluse ovviamente le proprie.
Nonostante queste critiche alla fine del 2022 il governo salvadoregno ha investito circa 4,70 milioni di dollari nell’installazione di una rete di bancomat, commissionati alla società Athena Bitcoin Global, nei quali gli utenti possono convertire dollari in bitcoin e viceversa.
Il mandato presidenziale di Bukele scadrà nel 2024; nel 2014 un tribunale aveva decretato che un presidente della repubblica dovesse attendere 10 anni prima di ricandidarsi, ma il 3 settembre 2021 una sentenza della Corte Suprema di El Salvador annullò quel decreto ripristinando la possibilità di un presidente in carica di farsi eleggere per un secondo mandato consecutivo.
Un anno dopo, il 15 settembre 2022, in un discorso celebrativo del 201° anniversario dell’indipendenza di El Salvador, Bukele ha annunciato di volersi ripresentare come candidato all’elezione presidenziale del 2024, e il 25 giugno 2023 il partito Nuevas Ideas, da lui stesso fondato alcuni anni fa, forte di un sondaggio secondo cui oltre l’80% dei salvadoregni voterebbe la conferma di Bukele a presidente e di Félix Ulloa a vicepresidente per il quinquennio 2024-2029, ha ufficializzato le due candidature.
Sarà rieletto presidente il castigamatti di El Salvador…?
Francesco D’Alessandro