Cari lettori, per stimolarvi alla lettura stuzzico la vostra curiosità premettendo che – come sa chi casualmente inciampa nella mia pagina in un noto canale sociale o legge le mie considerazioni in queste pagine – le mie riflessioni su alcuni eventi di attualità divergono dalle asserzioni assiduamente ripetute dai media.
Tra gli argomenti di attualità sui quali la mia visione non coincide con quella comunemente reiterata figurano i due conflitti che insanguinano il Medio Oriente e l’Europa, sui quali come sempre ho cercato di formarmi un’opinione col ragionamento e la logica, evitando di saltare di pancia al giudizio emotivo e pseudomoralista che quei media cercano di solleticare; ma per articolare il ragionamento che poi ci condurrà all’una o all’altra conclusione è indispensabile anzitutto definire qual è il dovere principale, anzi direi l’UNICO dovere, di un governante.
Infatti mi pare ovvio che il dovere essenziale di uno statista è perseguire l’interesse del proprio Paese, e quindi dei concittadini che l’hanno eletto loro guida; e cos’altro infatti sarebbe se non questo…?
Certamente non moraleggiare inutilmente (lasciando il tempo che trova) su questo o quell’evento, né pretendere di insegnare al mondo (che non sa cosa farsene) la propria versione, sincera o magari anche no, della giustizia e dell’etica… se un governante avesse queste pretese farebbe meglio a dedicarsi a un’altra carriera, che so io, il filosofo o l’ecclesiastico, che nella vita hanno un’altra missione.
E una volta chiarito questo concetto, altrettanto ovviamente il governante deve perseguire l’interesse del proprio Paese agendo affinché i concittadini si godano in sicurezza esterna ed interna il maggior benessere possibile; se agisse per fini anche indirettamente contrastanti o diversi da questi – che ripeto, non sono sue scelte discrezionali ma il suo preciso DOVERE – non meriterebbe di occupare quel posto.
Analogamente, se operare nell’interesse del proprio Paese è il dovere dei governanti, sarebbe assurdo che non lo fosse anche dei cittadini, che quindi devono anch’essi agire tenendo in mente prioritariamente la sicurezza e il benessere della comunità nazionale, che nelle grandi questioni ovviamente coincidono con l’interesse proprio e delle proprie famiglie.
Fatta quest’ovvia premessa, inizio le mie considerazioni sui moralismi e le convenienze della guerra in corso tra Hamas e Israele (di quella tra Russia e Ucraina parlerò il mese prossimo) partendo dall’inizio, ossia precisando qual è stata la dinamica scatenante di quest’ennesimo episodio del pluridecennale conflitto tra lo Stato ebraico e i suoi vicini.
È un fatto che questa guerra è iniziata con il massacro di oltre 1.100 persone indifese e il rapimento di circa 250 (molte delle quali torturate e altre catturate in ostaggio e già morte) perpetrati da Hamas il 7 ottobre dello scorso anno, non durante un combattimento o un conflitto ma a sangue freddo.
Evidentemente senza quest’evento questa guerra non sarebbe esplosa… però mi sembra incredibile che Hamas non avesse preventivato la reazione di Israele… e quindi, se logicamente Hamas era CONSAPEVOLE che la reazione di Israele alla strage era inevitabile, perché l’ha perpetrata?
A questa domanda può esserci una sola risposta logica: Hamas ha effettuato quella mattanza a sangue freddo proprio perché INTENDEVA provocare la risposta di Israele; e se era sua intenzione provocarla evidentemente doveva avere un obiettivo, che proseguendo il ragionamento poteva solo essere sabotare gli “Accordi di Abramo” (così chiamati dal leggendario patriarca, capostipite comune di ebrei ed arabi) promossi nel 2020 dall’ex presidente statunitense Trump poco prima della fine del suo mandato per normalizzare i rapporti tra Israele ed i suoi vicini arabi.
Chi ancora non sapesse cosa sono questi Accordi ci metta la sua buona volontà e cerchi in internet gli “Accordi di Abramo” (tra virgolette come l’ho scritto io) e vi troverà dettagliatissime spiegazioni, su cui qui non posso dilungarmi perché non posso abusare del già ampio spazio concessomi dall’editore.
Agli Accordi di Abramo tra Israele, Emirati Arabi e Bahrein si sono poi aggiunti il riconoscimento diplomatico tra Israele e Marocco e la prospettiva di una normalizzazione dei rapporti anche con l’Arabia Saudita dove si trova la Mecca, patria spirituale dei musulmani del mondo intero.
Anche sull’allentamento delle tensioni tra Israele e questi Paesi si troveranno spiegazioni cercando in internet gli argomenti [Israele “Arabia Saudita”] e [Israele Marocco]: per agevolare la ricerca scrivete le virgolette dove le ho scritte anch’io ma SENZA le parentesi quadre, che ho aggiunto solo per evidenziare le parole chiave.
Ricordo infine che due importanti Paesi arabi, Egitto e Giordania, hanno riconosciuto Israele già da molti anni, avendo giustamente compreso che dalla normalizzazione dei rapporti le rispettive popolazioni avrebbero ricavato solo vantaggi e dalla perpetuazione del fanatico odio razziale e religioso solo svantaggi.
Dopo questa serie di eventi dunque era diventato lampante agli estremisti islamici di Hamas che la progressiva normalizzazione dei rapporti tra arabi ed ebrei avrebbe segnato la fine del loro potere, esclusivamente fondato sull’odio, da loro costantemente rinfocolato, dei musulmani contro Israele, e che in questa logica quanto più dura fosse stata la reazione di Israele tanto meglio sarebbe stato per Hamas, che per questo ha coinvolto e coinvolge il più possibile i civili nella guerra mescolandosi a loro in quel tremendo sovraffollamento, particolarmente negli ospedali: infatti più alto è il numero di vittime causato dalle inevitabili azioni militari israeliane in questa intenzionale promiscuità, più cresce in Palestina e nel mondo il risentimento emotivo contro Israele e di conseguenza più vantaggi politici e pratici ne ricava Hamas.
Sento già le indignate obiezioni di alcuni lettori, che ipnotizzati dalla parola “genocidio” costantemente ripetuta dai media si sono assimilati al semplicistico concetto che, a prescindere da qualsiasi altra considerazione, il più debole – vero o presunto – ha sempre ragione e merita solo per questo il nostro appoggio; parola però ripetuta a sproposito, perché ad esempio il dizionario italiano online del quotidiano “Repubblica” dà la seguente precisa definizione di “genocidio”: “Ogni reato commesso ALLO SCOPO DI STERMINARE un gruppo etnico, religioso, razziale e nazionale”.
Ho evidenziato in maiuscolo 4 parole per sottolineare che il concetto di “genocidio” suppone come motivazione la precisa INTENZIONE DI STERMINARE (non DECIMARE, ma STERMINARE nella sua totalità), se necessario con più azioni metodicamente ripetute a freddo, un gruppo etnico di diversa razza o religione; anzi corrisponde alla definizione di genocidio la strage compiuta a sangue freddo il 7 ottobre 2023 durante il festival musicale Supernova da Hamas, il cui statuto prevede esplicitamente l’eliminazione pura e semplice di Israele (per verificarlo cercate in internet le 3 parole chiave [Hamas statuto Israele]); i civili palestinesi però hanno perso la vita durante operazioni belliche previste e provocate dalla stessa Hamas.
D’altronde nessuno ha accusato di genocidio gli Stati Uniti per i 210.000 morti civili e i 150.000 feriti causati dalle due bombe atomiche sganciate su Nagasaki e Hiroshima nel 1945 per costringere il Giappone alla resa; né gli angloamericani per le oltre 25.000 vittime civili del terribile bombardamento perpetrato in quello stesso anno su Dresda, città senza alcun valore strategico, quando la Germania era già sconfitta; né ancora gli Stati Uniti per i milioni di morti nella guerra del Vietnam negli anni ’60 e ’70 e per le centinaia di migliaia di vittime civili dei loro interventi militari in Iraq e in Afghanistan, quest’ultimo con la partecipazione pluriennale della NATO; né infine la NATO per gli oltre 500 civili uccisi in Serbia nel 1999 dai bombardamenti partiti dalle sue basi in Italia, a cui parteciparono aerei italiani inviati senza autorizzazione del Parlamento dal governo del piddino D’Alema.
Pertanto è errato usare la parola “genocidio” per le operazioni militari israeliane, perché ignorando la differenza tra uno STERMINIO intenzionale di una popolazione di altra razza o religione in un contesto non bellico, e i civili morti perché coinvolti in operazioni belliche non dirette contro di loro (e tra l’altro vorrei sapere in quale guerra ciò non è mai accaduto da quando esiste il mondo!), si induce – magari volutamente – l’opinione pubblica a conclusioni gravemente distorte.
Noto incidentalmente che al benessere della popolazione palestinese, oltre ad Hamas che invece fanaticamente la strumentalizza, dovrebbero badare innanzitutto i loro “fratelli” di lingua e religione con le tasche strapiene dei nostri soldi petroliferi, i quali però se ne disinteressano; e ricordo infine che l’Egitto ha chiuso il confine con Gaza, cioè non permette ai palestinesi di cercare rifugio in territorio egiziano non ritenendolo nel proprio interesse, primo non farsi carico dei problemi economici e organizzativi che ciò comporterebbe, e secondo perché sa che mimetizzandosi nei rifugiati passerebbero il confine anche i militanti di Hamas, coinvolgendo nel conflitto anche l’Egitto.
Ma torniamo al mio criterio chiave dell’interesse nazionale: posto che in un conflitto alla fine deve esserci necessariamente un vincitore e un vinto, chi, a noi italiani ed europei, conviene che sia il vincitore: Israele o Hamas?
A te lettore piacerebbe vivere nel regime teocratico di Hamas e del suo sponsor, l’Iran?
Soprattutto, ci converrebbe o ci nuocerebbe la sparizione dal panorama geopolitico mediorientale dello Stato di Israele e che gli oltranzisti islamici di Hamas rimangano padroni incontrastati di quell’area, per poi spiccare da lì il balzo per la sottomissione definitiva dell’Europa?
A me sembra piuttosto che la CONVENIENZA dell’Italia e dell’Europa è appoggiare Israele come primo baluardo contro l’espansionismo islamico; tuttavia Israele secondo alcuni ha il “difetto” di essere in Medio Oriente l’alleato di ferro degli USA, invisi a quelle persone per il protrarsi della guerra in Ucraina, che senza il decisivo appoggio statunitense a Kiev sarebbe già terminata da tempo; dei “moralismi e convenienze” di quest’altro conflitto parlerò il mese prossimo, ma per il momento obietto a chi trasferisce su Israele la propria antipatia verso gli Stati Uniti che non sempre e necessariamente il nemico (fuor di parafrasi, Hamas) del mio nemico (gli USA, per chi la pensa così) deve essere un mio amico, se questo mio presunto amico in realtà è un poco di buono che appena potrà volentieri mi darà una mazzata in testa; o altrimenti detto, l’alleanza tra Israele e Stati Uniti nel diverso contesto geopolitico del Medio Oriente non basta a farmi dimenticare chi sono Hamas e l’Iran e l’immane sciagura che per noi europei sarebbe una loro vittoria contro Israele.
Concludo con uno sguardo al futuro osservando che Hamas ha raggiunto il perverso scopo che si era prefisso con la strage del 7 ottobre 2023, ossia provocare la reazione di Israele per poi mimetizzarsi tra la popolazione affinché il numero di morti fosse il più alto possibile, mettendo in cassaforte per molti decenni a venire il capitale dell’odio contro Israele suscitato dagli eventi nei parenti delle vittime e nei propri futuri militanti, oggi ancora bambini e ragazzi, e compiendo così un notevole passo avanti verso il suo obiettivo di sabotare gli Accordi di Abramo e di rafforzare il proprio potere politico-teocratico; ma per lo stesso criterio della convenienza trovo irragionevole l’opposizione israeliana allo Stato palestinese, primo perché Hamas non potrà mai essere annientato militarmente da uno Stato minuscolo come Israele (appena 9 milioni e mezzo abitanti!), e secondo perché il tempo lavora contro Israele, per ora forte – nonostante l’enorme inferiorità numerica – della propria superiorità tecnologica e del sostegno della superpotenza mondiale statunitense, fattori però destinati a indebolirsi gradualmente o addirittura a svanire col passare degli anni.
Quando questi vantaggi spariranno Israele sarà verosimilmente travolto e sommerso dai suoi nemici enormemente superiori per numero… e allora altro che Olocausto!
Ma la sparizione di Israele, lo sottolineo ancora, sarebbe un evento drammaticamente pregiudizievole anche per l’Europa; nel suo stesso interesse (oltre che nel nostro…), per quanto gli riesca indigesto a mio parere Israele dovrebbe pragmaticamente ingoiare il rospo dello Stato palestinese, e compiuto questo passo cercare in ogni modo di conquistare le menti (e la pancia… i mezzi finanziari e le capacità tecnologiche non gli mancano!) dei cittadini e dei dirigenti del nuovo Stato, destinando a questo scopo le ingentissime risorse oggi consumate nella guerra. Rendere conveniente ai palestinesi la collaborazione con Israele è l’unico modo di rendere definitivamente inoffensivo Hamas… e nell’auspicio che il piano di Hamas di fomentare in eterno l’odio razziale e religioso sia vanificato dalla ragionevolezza di Israele, di cui purtroppo però finora non si vede segno, e che passata quest’ennesima buriana proseguano e si amplino gli Accordi di Abramo, vi annuncio in un prossimo numero – già ad agosto se ne avrò il tempo – la seconda parte delle mie considerazioni su “convenienza e moralismi”, incentrate sull’ancora più controverso conflitto tra Russia e Ucraina, che con gravi rischi per tutti noi tuttora insanguina il cuore dell’Europa.
Francesco D’Alessandro