More

    Spagna: la crescente insoddisfazione da lavoro. Le Canarie non fanno eccezione

    Il capitolo ferie è ormai definitivamente concluso, ma il rientro al lavoro è spesso per molti, un brusco risveglio.

    Cosa c’è dietro quella sensazione di stanchezza e demotivazione? 

    Il malessere lavorativo è in costante aumento in Spagna, e le Isole Canarie non fanno eccezione.

    Un numero crescente di lavoratori spagnoli non si sente legato alla propria azienda e soffre di stress, ansia e tristezza quotidiani. Soprattutto tra i giovani, il lavoro sta diventando un problema per la salute mentale, erodendo il benessere personale e la produttività delle aziende.

    Ma è davvero impossibile essere felici al lavoro? Steve Jobs, nel suo celebre discorso di laurea, sottolineava l’importanza di amare ciò che si fa. Un messaggio che risuona ancora oggi, soprattutto per coloro che si sentono intrappolati in un lavoro che non li soddisfa.

    I dati sono allarmanti: in Spagna, un lavoratore su quattro soffre di tristezza quotidiana sul posto di lavoro e più di un terzo è stressato. Solo il 9% si sente veramente coinvolto nel proprio lavoro. 

    Anche le Canarie risentono di questa tendenza generale.

    Le conseguenze di questa situazione sono molteplici: un aumento delle assenze per malattia mentale, una diminuzione della produttività e un costo economico non indifferente per le aziende e per la società nel suo complesso.


    Alle Canarie ansia e depressione sono in testa alla classifica delle patologie più comuni, superando persino malattie croniche come il diabete.

    Le ragioni di questo diffuso malessere sono molteplici. La pandemia ha sicuramente aggravato la situazione, ma il problema affonda le radici in una realtà socioeconomica complessa: precarietà e insoddisfazione lavorativa, unita ad una ad una aspettativa di vita non soddisfacente, contribuiscono a generare stress e malessere psicologico.

    I disturbi mentali non sono solo un problema a sé stante. Ansia e depressione, infatti, aumentano il rischio di sviluppare altre patologie fisiche, come malattie cardiovascolari e obesità. 

    Perché questa diffusa insoddisfazione? Diverse sono le cause, tra cui:

    L’incapacità di un futuro sicuro: soprattutto per i giovani, che faticano a costruirsi una vita stabile.

    La priorità data alla vita privata e al tempo libero: sempre più persone desiderano conciliare lavoro e vita personale.

    Il lavoro da remoto e la cultura dell’iperconnettività, che hanno sfumato i confini tra vita privata e professionale.

    La ricerca di un senso più profondo nel lavoro, oltre al semplice guadagno economico.

    Il mito della produttività.

    Siamo abituati a pensare che più lavoriamo, più siamo produttivi. Ma è davvero così? La frenesia del mondo moderno, caratterizzata da una costante connessione e da una miriade di impegni, ci ha portati a confondere l’attività con la produttività.

    In un’epoca in cui il lavoro intellettuale prevale sulla produzione materiale, misurare l’efficienza è diventato più complesso. Si è così diffusa l’idea che “sembrare occupati” sia sinonimo di produttività. Mandare email a raffica, partecipare a riunioni infinite e passare da un progetto all’altro senza sosta sono diventati un distintivo da sfoggiare.

    Ma questa frenesia frenetica ha un prezzo. La ricerca scientifica dimostra che il multitasking, ovvero la capacità di svolgere più attività contemporaneamente, è un mito. Il nostro cervello non è progettato per funzionare così: quando siamo costantemente interrotti da notifiche, chiamate e messaggi, la nostra capacità di concentrarci diminuisce drasticamente, e con essa la qualità del nostro lavoro.

    L’impatto del lavoro da remoto sulla salute mentale.

    Il lavoro da remoto, pur offrendo flessibilità, ha introdotto nuove sfide per la salute mentale. La mancanza di separazione tra spazio lavorativo e privato, unita alla difficoltà di stabilire dei confini chiari, può portare a un senso di sovraccarico e a un aumento dello stress. Inoltre, la solitudine derivante dalla riduzione delle interazioni sociali in presenza può influire negativamente sul benessere psicologico.

    Questa ossessione per l’attività ci porta a trascurare l’importanza della qualità. Cercando di fare tutto e subito, finiamo per fare male tutto. Come sottolinea Carl Newport, professore di informatica, “la pseudoproduttività ci toglie il rispetto per noi stessi. Ci dice che per l’unico che serviamo è per stare occupati”.

    È arrivato il momento di ripensare al modo di lavorare. Dobbiamo abbandonare l’illusione della produttività infinita e concentrarci sulla qualità del nostro lavoro. Questo significa saper dire di no, stabilire delle priorità e dedicare del tempo a compiti specifici, senza distrazioni.

    Il valore del tempo libero

    Il lavoro non dovrebbe essere l’unica dimensione della nostra vita. Avere del tempo libero per riposare, coltivare i propri interessi e dedicarsi alle relazioni sociali è fondamentale per il nostro benessere e, paradossalmente, anche per la nostra produttività.

    In conclusione, la vera produttività non si misura in ore lavorate o in numero di email inviate, ma nella capacità di raggiungere i propri obiettivi con efficienza e qualità. E questo richiede un cambio di mentalità, sia da parte dei singoli individui che delle aziende.

    Le aziende devono affrontare questa sfida e promuovere ambienti di lavoro più sani e soddisfacenti. Investire nel benessere dei dipendenti significa aumentare la produttività e ridurre l’assenteismo.

    Il singolo individuo deve cercare, nel limite del possibile, intraprendere una  vita professionale che appassioni e  dia soddisfazione.

    Italiano alle Canarie

     

    Articoli correlati