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    La Tejita, epicentro del mistero

    Cueva del Hermano Pedro
    Foto Cristiano Collina

    Pochi luoghi nelle Isole Canarie hanno un rapporto così forte con il mistero e il trascendente come la zona intorno alla spiaggia di La Tejita, con la sua emblematica Montaña Roja e le vicine aree di El Médano e della Cueva del Hermano Pedro. 

    È sconvolgente pensare che questo luogo, oggi protetto e fonte di controversie attive negli ultimi tempi, sia stato separato milioni di anni fa da un braccio di mare.

    È difficile da immaginare, ma è stato così, tanto che la montagna stessa, nota anche come Monte della Mole, non aveva alcun legame con la costa. 

    Sarebbe stato il lento processo di creazione di una duna fossile a compattare il luogo, dandoci l’immagine che conosciamo.

    Il modo in cui si staglia sull’orizzonte marino, con i suoi 171 metri sul livello del mare, e l’esistenza nella zona di condizioni marittime tali da fungere da porto naturale hanno fatto sì che, a partire dalla Conquista alla fine del XV secolo, Montaña Roja diventasse uno dei principali riferimenti geografici di Tenerife. 

    Fray Abreu Galindo descrisse l’isola come un “triangolo con tre punte, che si chiamano Punta de Anaga, Punta de Teno e Punta del Camisón, o Montaña Roja”. 

    Anche Fray Alonso de Espinosa lo fece nei seguenti termini: “La forma di quest’isola è quasi triangolare, perché ha tre promontori o punte: la Punta de Anaga, che si trova a nord-est, la Punta de Teno a ovest sud-ovest e la Montaña Roja a sud-sud-ovest”.

    Lungo questa costa ci furono diverse incursioni commerciali e piratesche, e la zona era destinata a passare alla storia della navigazione per essere stata una delle prime tappe della spedizione di Ferdinando Magellano e Juan Sebastian Elcano nella loro odissea per circumnavigare il pianeta per la prima volta. 


    A quanto pare, la sosta – che per alcuni fu tecnica e per altri una pura necessità dovuta all’assedio dei corsari – avvenne il 1° ottobre 1519 e durò due giorni. 

    Mezzo secolo dopo, nella primavera del 1571, la zona fu testimone di un altro episodio importante, quando l’ammiraglio inglese Sir William Winter sbarcò sulla costa, forse per abbeverarsi e preparare un attacco a un’altra parte dell’isola. 

    Sta di fatto che lì fu respinto da un feroce Baltasar Soler, all’epoca capitano della compagnia di fanteria di Abona e Vilaflor, che, secondo la cronaca, si prese la briga di uccidere la dozzina di uomini sbarcati, tra cui forse lo stesso Winter.

    Il prolifico cronista meridionale Octavio Delgado ha recuperato, qualche tempo fa, un testo su questo luogo favoloso del giornalista e scrittore Romualdo García de Paredes. 

    Si tratta di un racconto di fantasia che, secondo lui, si ispira a ciò che gli è stato “raccontato dai maghi del Sud” e che è stato pubblicato il 30 ottobre 1919 nella Gaceta de Tenerife. 

    Si intitola La Montaña Roja (La Montagna Rossa) e tenta di spiegare l’origine del colore del suddetto vulcano. 

    Vale la pena leggerlo e scoprire il lirismo evocativo che emana in paragrafi come questo: “Quando il sole del mattino la illumina, si dica che un afflusso vulcanico la ha arrossata di fuoco; quando il sole di mezzogiorno la illumina, si pensi che un gigantesco rubino mostri i suoi riflessi purpurei; quando, al tramonto, ci si sdraia stanchi sulla montagna, si pensi che un grumo di sangue salga sopra l’immenso mare”.

    Il racconto descrive la storia di tre fratelli guanches, Ivna, Nausú e Vaguá, che, dopo una violenta tempesta, scoprono a La Tejita, a pochi metri dal mare, un brillante forziere sommerso fatto di legno d’ebano e ricoperto d’oro, argento e pietre preziose. 

    Il pezzo era giunto in mare dalle mani di un vecchio principe indiano che, nel bel mezzo della tempesta, si era gettato in acqua con esso.

    Questo personaggio viaggiava su una caravella chiamata Texis con la sua giovane e bella moglie, una principessa dai capelli d’oro. 

    I ragazzi prendono in mano la cassa e scoprono con orrore che al suo interno c’è la testa della giovane donna, che sembra essere rimasta vittima della gelosia del marito.

    Dopo aver discusso su cosa fare di lei, Nausú, che si è immediatamente innamorato della ragazza decapitata, si scaglia mortalmente contro il fratello Ivna, mentre la sorella Vaguá fugge. 

    Il giovane si arrampica sulla Montagna Rossa per seppellire il petto e la testa sulla sua cima, e poi trasporta il fratello morto per seppellirlo. 

    In quel momento, il sangue inizia a sgorgare dal vulcano e si riversa sulla montagna, macchiando tutto ciò che incontra e seppellendo Nausú e la cassa stessa. 

    Foto Cristiano Collina

    La montagna è rossa a causa del colore del sangue versato, mentre nei giorni di calma, quando il mare è calmo, è possibile vedere il forziere luccicare nelle acque accanto alla Montaña Roja.

    La suggestiva storia contribuisce a dare maggior forza alla magia e al mistero tradizionalmente attribuiti a un luogo che, negli anni Settanta del XX secolo, conobbe una singolare proiezione su scala nazionale. 

    Il responsabile di tutto ciò fu il ricordato giornalista Francisco Padrón Hernández, pioniere nelle Isole Canarie nell’indagine e nella divulgazione di enigmi di ogni genere. 

    Ma ci sono altre storie. 

    Per esempio, quelle relative a strane apparizioni di persone che appaiono e scompaiono inaspettatamente come per magia, oppure la tradizione di Fratel Pedro, che indica questa enclave come un punto di trasformazione spirituale.

    Quest’ultimo aspetto è molto rilevante, poiché è in questa zona che Pedro de San José Betancur trascorse parte della sua infanzia e della sua giovinezza, trascorrendo lunghi periodi di solitudine e contemplazione mentre pascolava le sue capre. 

    Gli vengono attribuiti vari prodigi, senza dubbio apocrifi, e la capacità di sfuggire ai pirati quando questi facevano incursioni nella zona in cerca di schiavi. 

    Ciò che sembra chiaro è che fu in quel tempo e in quel luogo che sentì la chiamata, dove sperimentò il suo risveglio spirituale.

    È possibile che il luogo e, chissà, l’osservazione e l’interpretazione di alcuni strani fenomeni, abbiano innescato la sua particolare ierofania? (dal greco antico hierós, “sacro”, e phainein, “mostrare”).

    Chi lo sa. 

    Ciò che è chiaro è che La Tejita e il suo lungo rapporto con il mistero non lasciano indifferenti coloro che si sintonizzano con la sua magia.

    In ognuno dei nostri itinerari vengono segnalati nuovi casi da chi vi partecipa. 

    In pochi luoghi si ha la sensazione che l’ignoto sia imminente.

    Manifestazione della realtà sacra in quella profana. 

    Il sacro trascende il profano

     

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