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    Le femministe hanno (giustamente) da ridire!

    Quello che voglio esporre oggi mette in parole una realtà che molte donne negli spazi progressisti hanno sperimentato: una sinistra che si dichiara femminista, ma che in pratica riproduce atteggiamenti patriarcali. 

    In molti partiti e movimenti progressisti, vediamo come alcuni uomini abbiano assunto una posizione femminista superficiale che spesso non è altro che una facciata. 

    Queste cosiddette “femministe” strumentalizzano il discorso femminista per proiettare un’immagine di progresso e giustizia sociale, ma senza una vera convinzione o una profonda introspezione sul proprio comportamento maschilista.

    L’ipocrisia di questi ambienti non è solo frustrante, ma anche dannosa. 

    Molte donne hanno subito abusi, molestie, attacchi e un costante sminuire il loro ruolo in questi spazi. 

    Le squalifiche sono presenti nel petit comité per screditare coloro che osano mettere in discussione l’autorità maschile non solo all’interno della sinistra, ma anche del femminismo e dei partiti progressisti, una strategia che maschera una mancanza di autocritica in questi uomini e una paura latente di perdere il potere che ancora detengono, anche all’interno di movimenti che dovrebbero cercare di eliminare le gerarchie di oppressione.

    La situazione di figure di sinistra come Errejón non è un caso isolato; è il riflesso di una struttura che ha permesso di perpetuare atteggiamenti misogini e dominatori sotto la bandiera dell’uguaglianza. 


    La sinistra, per la sua stessa etica e il suo discorso, dovrebbe essere un esempio di coerenza, ma quando questi valori non vengono incarnati, la delusione è maggiore, perché la società si aspetta uno standard più elevato da chi sostiene di lottare per la giustizia sociale.

    La sinistra è cambiata molto negli ultimi decenni e, sebbene continui a esistere in forme diverse, le tensioni interne e i cambiamenti nei suoi obiettivi hanno generato intensi dibattiti, soprattutto su questioni come il femminismo, l’antirazzismo e le strategie economiche e politiche.

    L’unica via d’uscita possibile per la sinistra è assumere il femminismo radicale e l’antirazzismo come pilastri inalienabili, non come questioni decorative o di comodo. 

    Questi valori devono essere incorporati con profondità e autenticità. 

    Non può esistere una sinistra trasformista senza affrontare il proprio maschilismo strutturale e permettere alle voci femminili di essere protagoniste, non solo nei discorsi ma anche nella pratica. 

    E questo implica che gli uomini di sinistra debbano decentrarsi e riconoscere che il loro ruolo non è quello di guidare, ma di accompagnare in un processo di apprendimento e di sostegno senza imporre le loro condizioni.

    La lotta contro il patriarcato deve iniziare in casa, in ogni partito, collettivo e struttura interna che si dichiara progressista. 

    Le donne che sono state messe a tacere, etichettate, escluse, sono proprio quelle che rappresentano il nucleo di quella che potrebbe essere una sinistra veramente impegnata nel cambiamento. 

    L’unico modo per far riemergere con forza il movimento è mettere il femminismo radicale e l’antirazzismo al centro della sua ideologia e della sua prassi, non solo nei discorsi ma in ogni interazione e nelle politiche concrete.

    Mi unisco alle parole dell’amica e collega Antonella (Aliotti-Ex consigliera Sí Podemos Canarias Ayuntamiento de Arona) per includere il mio punto di vista su questa situazione e inizio ricordando che già nel 2023 scrivevo a proposito del maschilismo a sinistra “Pablo Iglesias usa le donne del suo partito nello stesso modo in cui vengono usate le mogli in The Handmaid’s Tale di Margaret Atwood: complici, consenzienti e facenti, lavoratrici per e del sistema patriarcale. 

    È chiaro che questo signore è un artista della manipolazione, una volta è riuscito a distruggere e spezzare il movimento femminista in Spagna, ora sta per spezzare l’unione della sinistra in questo Paese”.

    Mi riferisco a questo articolo perché non mi piace che tante persone si stupiscano della notizia che Iñigo Errejón sia un devoto praticante di comportamenti e aggressioni maschiliste, ogni volta che danno veridicità alle voci maschili, ogni volta che valorizzano uomini che si spacciano per femministi, in realtà squalificano noi donne che lo pratichiamo, che lo combattiamo politicamente, che giorno per giorno affrontiamo il patriarcato e tutte le sue forme. 

    Nella sinistra spagnola prevale un sistema patriarcale che porta ad annullare le carriere politiche delle donne, a mettere in discussione le loro ambizioni e le loro capacità di gestione, a sminuire i loro successi e il loro lavoro, a dare per scontato che non facciano la cosa giusta o che non siano sufficienti, a sottolineare i loro errori. 

    Vengono messe in discussione sulla base del loro aspetto fisico e ci si aspetta che servano gli interessi del partito e dei suoi leader maschili, indipendentemente dal fatto che siano legittimi o meno.

    L’impunità con cui gli uomini agiscono è così evidente da sorprendere la comunità, a meno che non ci si ricordi che non importa se si è di destra o di sinistra, se si è uomini si hanno privilegi a cui non si può rinunciare e non importa se questi privilegi vanno contro l’altra metà della popolazione. 

    Ricordiamo che nel femminismo la grande maggioranza delle donne di sinistra sono militanti, quindi la sinistra può e deve avere un futuro prospero nella politica di questo Paese.

    Dovranno cambiare le voci e le teste pensanti e agenti, e le politiche dovranno fondarsi su due pilastri fondamentali perché la rivoluzione si compia, il primo che sia guidata dalle donne, e il secondo che siano difensori e praticanti del femminismo e dell’antirazzismo. 

    I resoconti delle aggressioni commesse da Errejón sono appena venuti alla luce, ora ci auguriamo che quelli di molte altre persone tra la folla vengano presto svelati, che sia fatta giustizia e che i danni fatti siano riparati, e che la Rivoluzione sia femminista e antirazzista o non lo sia.

    Liberamente tradotto da María José Belda Díaz (Ex portavoce del gruppo Sí Podemos Canarias ed ex consigliere non iscritto al Cabildo di Tenerife, Psicologa, attivista, femminista).

     

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